di Daniele Cirioli
Duvri e cig per affrontare l’emergenza coronavirus in azienda. Il contagio conclamato in Italia del nuovo virus, infatti, impone alle aziende l’aggiornamento del documento di valutazione dei rischi (Duvri) per la presenza del nuovo rischio biologico, nonché la fornitura dei dispositivi di protezione individuali (le mascherine). Per gestire le assenze forzate dei lavoratori (a Codogno il sindaco ha chiuso bar, scuole, locali e negozi), invece, l’azienda può ricorrere a un periodo di cassa integrazione per «eventi di forza maggiore». Per far fronte al focolare della Lombardia, la protezione civile ha individuato due strutture del ministero della difesa per la quarantena dei contagiati: una si trova a Milano, l’altra a Piacenza, per un totale di circa 180 posti letto. La principale criticità che devono affrontare datori di lavoro e consulenti è la sicurezza lavoro, aspetto di particolare importanza atteso che, ai sensi del Tu sicurezza (dlgs n. 81/2008), la responsabilità ricade esclusivamente sul datore di lavoro. Il coronavirus rappresenta un nuovo rischio biologico che impone al datore di lavoro di tutelare i lavoratori. In collaborazione con il medico competente, quindi, deve procedere innanzitutto ad aggiornare il Duvri, documento di valutazione rischi; quindi deve individuare le misure di prevenzione, tra cui la fornitura di Dpi (dispositivi protezione individuale); deve fornire adeguata formazione agli addetti al pronto soccorso e ai lavoratori; e così via. Tra le misure da adottare rientrano, certamente, quelle indicate dal ministero della salute nella nota n. 1141/2020, vale a dire: lavarsi frequentemente le mani; porre attenzione all’igiene delle superfici; evitare i contratti stretti e protratti con persone con sintomi simil influenzali; non recarsi al pronto soccorso, in ospedale o dal medico in caso di sospetto contagio, ma attendere i servizi sanitari di pronto soccorso. La seconda criticità da affrontare è lo stop alle attività. Stop che può arrivare da autonoma decisione dell’azienda o dei lavoratori (accogliendo gli «inviti» a non uscire di casa, per esempio) oppure per ordine di autorità. Nel primo caso l’assenza non è imputabile ai lavoratori; quindi deve essere retributiva dall’azienda che ha deciso di abbassare le serrande. Nel secondo caso è il contrario: l’assenza è imputabile al lavoratore che ha deciso di restarsene a casa per paura del contagio; per cui, se non la giustifica in altro modo (ferie, permesso ecc.) non ha diritto alla retribuzione per l’assenza che è ingiustificata, perseguibile anche dal punto di vista disciplinare. Nel terzo caso, poiché lo stop è imposto dall’alto (è il caso del comune di Codogno che ha chiuso bar, locali, uffici, scuole), la mancata prestazione lavorativa non è imputabile all’azienda e neppure al lavoratore. Quindi l’azienda non è tenuta a retribuire le assenze e le assenze non sono imputabili ai lavoratori (dal punto di vista disciplinare). Ci perdono entrambi: l’azienda per mancata produzione, i lavoratori per assenza di retribuzione. In questi casi, però, è ammesso il ricorso alla cig in base all’art. 8 del dm n. 95442/16. La cig, tuttavia, spetta ai dipendenti con almeno tre mesi di anzianità delle aziende destinatarie della cassa integrazione. E gli altri lavoratori? E le altre aziende? Per loro resta il principio generale dell’impossibilità che libera le parti: il lavoratore dall’obbligo di lavorare e il datore di lavoro dall’obbligo di retribuire. In soccorso, tuttavia, può arrivare il contratto collettivo applicato in azienda, eventualmente (molti lo fanno) contempli la possibilità per il lavoratore di fruire di permessi retribuiti in caso di eventi eccezionali. Il principio generale opera anche nel settore pubblico (dove non c’è cig). Come rappresentato in altre occasioni dall’Aran (emergenza neve): la pa non deve lo stipendio a chi non si presenta in ufficio e i lavoratori non sono perseguibili dal punto di vista disciplinare. Tuttavia, al fine di evitare la «perdita» al lavoratore, la contrattazione collettiva prevede, generalmente, la possibilità di fruire di permessi retribuiti o di recuperare il servizio non prestato. I lavoratori autonomi, come i professionisti, non hanno adempimenti e incombenze da mettere in atto per affrontare l’emergenza del virus, essendo praticamente responsabili di loro stessi. Caso particolare riguarda i notai che, stando a una norma vecchia oltre un secolo, non hanno come difendersi: rischiano la destituzione, infatti, se abbandonano la sede (art. 142 della legge n. 89/1913).
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