Diverse società capitalizzano in borsa meno dell’insieme dei loro asset. Alcune penalizzate perché fanno parte del comparto finanziario. Altre scontano una sfiducia specifica degli investitori
di Manuel Follis
Uno dei casi più eclatanti e recenti è stato quello di Telecom Italia , le cui quotazioni lo scorso 22 gennaio hanno toccato il minimo storico a 0,446 euro. L’andamento in calo del titolo, che ha perso il 33% in un anno, il 26% solo negli ultimi sei mesi, ha messo in evidenza un’anomalia: la sola Tim Brasil, una controllata di Telecom, oggi vale quanto se non più della sua controllante (nel giorno del minimo in borsa i valori erano 6,7 miliardi Tim e 7,1 miliardi l’asset carioca). Un paradosso cui le borse di tutto il mondo sono abituate, ma che nel corso di alcuni precisi periodi risulta ancora più evidente. Nel caso di Telecom ci sono molti fattori che hanno influito negativamente sul titolo, a partire dallo scontro senza quartiere tra i due più grandi azionisti della società (Vivendi e Telecom). Ma Tim non è certo l’unica «anomalia» di Piazza Affari, anzi i listini di tutto il mondo, come detto, sono pieni di società valutate dagli investitori meno dei loro asset.
In alcuni casi si tratta di sottovalutazioni strutturali, perché certi settori di business tendono a far emergere meno il valore degli asset, mentre in altri vi sono dietro ragionamenti specifici. Di base, l’adagio della finanza è che «il mercato ha sempre ragione» e quindi le valutazioni degli investitori, soprattutto quelli istituzionali, devono avere qualche fondamento. Nella tabella in pagina (i cui dati sono aggiornati al 23 gennaio) si evince che le principali società i cui asset sono di molto superiori al valore della capitalizzazione sono quelle appartenenti al mondo bancario/finanziario.
La sproporzione tra asset e market cap è evidente, così come è evidente che sul settore bancario negli ultimi anni è intervenuto un cambiamento normativo a livello europeo che ha avuto un impatto considerevole. Dieci anni fa la capitalizzazione dei gruppi bancari risultava approssimativamente pari al patrimonio di vigilanza, ma dal 2010 il valore di borsa ha iniziato a scendere in maniera significativa, una flessione che ha portato alcuni istituti a varare importanti aumenti di capitale con gli analisti che hanno iniziato a scontare nelle loro valutazioni un’elevata incertezza nei tempi della ripresa economica (tema quest’ultimo quantomai attuale). A tutto questo vanno aggiunte poi valutazioni industriali specifiche. Il settore bancario nel suo complesso sconta l’incertezza degli investitori nei confronti della redditività che gli istituti sono in grado di esprimere e questo ad esempio è il motivo per cui Intesa Sanpaolo , pur a fronte di asset totali di valore inferiore rispetto a quelli di Unicredit, vanta una maggiore capitalizzazione. Alcuni analisti spiegano questa differenza proprio con una diversa considerazione sulla redditività espressa dalle due banche.
All’interno di un contesto come quello bancario che tende a non far emergere il valore degli asset ci sono poi casi specifici come quello di Banca Carige , il cui titolo è sospeso in borsa da giorni, ma che nell’ultimo giorno in cui ha scambiato titoli sul mercato (ovvero il 28 dicembre) valeva 0,0015 euro corrispondente a una capitalizzazione di 83 milioni (84 se si considerano anche le azioni risparmio) cioè meno di quanto potrebbe valere sul mercato la sola sede di Genova dell’istituto di credito. È chiaro che il gruppo sconta non solo le ormai conclamate difficoltà e i ripetuti tentativi di risanamento non andati a buon fine ma anche lo scontro con la Bce, che evidentemente ha tenuto gli investitori ben lontani dalle azioni della banca.
Anche Atlantia risulta valere meno della somma dei suoi asset. Ovviamente la società che fa capo alla famiglia Benetton attraverso Edizione ha scontato l’effetto borsistico della tragedia di questa estate, quando è crollato il ponte Morandi di Genova. In un mese (dall’8 agosto al 5 settembre) le azioni di Atlantia sono passate da 26,67 a 17,2 euro, e il gruppo veneto ha così perso più di un terzo della sua capitalizzazione.
Oggi, con il titolo che nel frattempo ha recuperato un po’ di terreno dai minimi di periodo, la capitalizzazione si aggira intorno a 17 miliardi, una cifra che di sicuro non riflette il valore degli asset della società che controlla 17 concessioni tra Italia, Brasile, Cile e Polonia, Aeroporti di Roma (Fiumicino e Ciampino) e i tre scali che fanno capo alla società «Aeroporti della Costa Azzurra», oltre a una società come Telepass, il cui valore di mercato potrebbe arrivare fino a 1 miliardo. Nell’elenco compaiono anche le società di costruzioni, che a detta degli analisti spesso in Italia sono particolarmente penalizzate perché hanno un debito molto alto a differenza di quanto avviene per altri gruppi internazionali. Debito che invece, utilizzando il meccanismo degli anticipi sulle commesse, dovrebbe essere inferiore.
Chiaramente nel caso di Astaldi pesa anche il fatto che la società stia cercando una strada per il salvataggio, dopo aver visto accettata la proposta di concordato in continuità aziendale. Di sicuro, soprattutto in un momento macroeconomico così delicato, tra tensioni internazionali e una manovra economica i cui effetti non si sono ancora mostrati, per molte società è complesso far emergere il proprio valore. (riproduzione riservata)
Fonte: