La Riforma del Titolo V della Costituzione che ha introdotto il federalismo sanitario nel nostro Paese ha generato di fatto 21 Sistemi Sanitari Regionali diversi.
Gli effetti pratici nella vita di tutti i giorni per i cittadini sono evidenti: le liste di attesa medie nell’ultimo anno vanno dai 33,69 giorni di media nel Veneto (21,20 giorni in Valle d’Aosta) agli 82,54 giorni di media nel Lazio, passando per i 70,04 giorni di media della Campania; il valore medio dei ticket va dai 67 Euro medi del Veneto ai 33 Euro della Sardegna, passando per i 44 Euro medi per ticket della Campania; la spesa sanitaria di tasca propria (c.d. “Out of Pocket”) – che si aggiunge ai costi già sostenuti mediante la fiscalità generale per finanziare il Servizio Sanitario Nazionale e che, a loro volta, ammontano in media a 1.867 Euro pro capite – va dagli oltre 650 Euro pro capite del Veneto e della Liguria (con valori ben superiori ai 750 Euro per cittadino in Valle d’Aosta, che registra un valore di 877 Euro a testa, e nelle Province Autonome di Trento e Bolzano) ai 324,56 Euro della Campania; l’incidenza delle cure rinunciate o differite – che riguardano ormai oltre 12,2 milioni di italiani – va dal 15% del Nord Est al 39% del Centro, passando per il 28% del Sud e Isole.
Ad aggravare questo quadro si aggiungono, peraltro, i più recenti trend demografici che ci paventano il rischio potenziale di vedere traslati sulle generazioni future gli effetti delle disuguaglianza territoriali appena commentate. Se si osservano i dati relativi alla speranza di vita nelle diverse Regioni italiane nel 2001, prima dell’entrata in vigore del “federalismo sanitario”, è possibile rilevare per entrambi i generi un tendenziale omogeneità del dato. Confrontando questi indicatori con le risultanze emesse in occasione dell’ultima rilevazione ISTAT viene a palesarsi invece un trend divergente assolutamente riconducibile al gradiente territoriale. In altre parole, a poco meno di 10 anni dalla riorganizzazione del Servizio Sanitario Nazionale su base regionale si è assistito per entrambi i generi ad un processo di progressiva divaricazione tra Nord e Sud, che ha penalizzato il Mezzogiorno, che ha condotto al consolidarsi di un innalzamento sostanziale della speranza di vita alla nascita per i cittadini del Nord e a una riduzione di tale fattore per i cittadini del Sud.
In termini pratici, mentre la speranza di vita alla nascita per le femmine in Lombardia, Friuli Venezia Giulia, Piemonte, Puglia e Lazio si allinea a situazione riscontrabili in Svizzera o in Australia (82 anni), in Basilicata, Campania e Sicilia il medesimo indicatore scende ai livelli riscontrabili in Spagna, Israele e Nuova Zelanda (81 anni). Parimenti, con riferimento al genere maschile, possiamo osservare che se i maschi in Toscana, Marche, Abruzzo e Molise presentano una speranza di vita alla nascita in un range prossimo a quella di Danimarca, Germania, Regno Unito e Stati Uniti (79 anni), in Campania i maschi presentano un indicatore di poco superiore a quello della Bulgaria (64 anni).
In questa prospettiva il tema della disuguaglianza territoriale, già di per se assolutamente rilevante, assume una rilevanza ancora maggiore per gli effetti a livello intergenerazionale che è in grado di favorire non solo dal un punto di vista economico, ma anche in una prospettiva sanitaria e demografica.
“Oltre alle disuguaglianze legate alla minor capacità assistenziale dei Sistemi Sanitari Regionali del Sud – commenta Marco Vecchietti, Amministratore Delegato e Direttore Generale di RBM Assicurazione Salute – esiste, dunque, un moltiplicatore delle differenze dato dalla minore aspettativa di vita alla nascita, dalla maggiore incidenza di fattori di rischio (sedentarietà, fumo e obesità) al Sud e dalla minore aspettativa di vita in assenza di patologie oltre i 65 anni. Tutti questi elementi che ingenerano una maggiore necessità di cure private si scontrano anche con la disponibilità di un PIL pro capite inferiore. In questo contesto un Secondo Pilastro Sanitario promosso su base territoriale dalle Regioni più che dalle aziende o dalla Contrattazione Collettiva (visto che anche i siti produttivi sono maggiormente presenti a Nord) potrebbe garantire una redistribuzione anche ai cittadini del Sud del prezioso diritto alla Salute. Questa la sfida che crediamo fermamente di poter affrontare insieme con le Parti Sociali, insieme con tutte le Forme Sanitarie Integrative, insieme con le migliori forze del nostro Paese. Occorre camminare insieme in questa direzione non lasciando più soli i cittadini, informandoli di questa nuova importante opportunità e scrivendo nuove regole che possano preservare i fondamentali del nostro Sistema Sanitario, assicurando una risposta sicura per la nostra Salute e per quella delle future generazioni. Così come insieme in questi anni abbiamo fatto la differenza, siamo convinti che insieme – nei rispettivi ruoli – riusciremo ad essere il cambiamento che vogliamo vedere nel nostro Paese”.