di Roberto Lenzi*
Le polizze del ramo Vita beneficiano ancora oggi di alcuni vantaggi fiscali, peraltro di differente impatto a seconda della tipologia di polizza, rispetto ad altri strumenti finanziari (non qualificati come assicurativi) presenti sul mercato. E questo, nonostante il legislatore sia intervenuto in materia, negli ultimi anni, riducendone sensibilmente l’appeal sia sotto il profilo della fiscalità indiretta e diretta, sia in tema di detrazioni fiscali. Come è noto, il ramo Vita comprende una classificazione in sei categorie: ramo I (contratti assicurativi sulla durata della vita umana, con prestazioni collegate alla morte, alla vita dell’assicurato o entrambe), ramo II (assicurazioni di nuzialità e natalità), ramo III (contratti di cui al ramo I, ma le cui prestazioni sono collegate al valore di fondi esterni, interni, ovvero indici e altri valori di riferimento), ramo IV (assicurazioni malattia e contro il rischio di non autosufficienza che siano garantite mediante contratti di lunga durata, non rescindibili per il rischio di invalidità grave dovuta a malattia o infortunio o longevità), ramo V (operazioni di capitalizzazione, dove, però, manca la figura dell’assicurato e prive di rischio demografico e di rischio secondo l’articolo 179, comma 1 del Codice di Assicurazioni private), ramo VI (operazione di gestione di fondi collettivi costituiti per l’erogazione di prestazioni in caso di morte, in caso di vita o in caso di cessazione o riduzione dell’attività lavorativa).
In un’ottica di fiscalità finanziaria, rivestono un particolare interesse contratti di ramo I, III e, anche se di fatto non più utilizzati, quelli di ramo V.
In caso di successione le prestazioni erogate ai beneficiari (o eredi) sono escluse dall’applicazione dell’imposta e, pertanto, non rientrano nell’asse ereditario (ad eccezione delle polizze di ramo V, su cui è intervenuta l’Ania con circolare 0252 del 5 agosto 2010 specificando la non esenzione i beneficiari, in funzione della natura non indennitaria mancante alla polizza). In tema di fiscalità diretta, nelle polizze di ramo I e III, i rendimenti maturati dall’investimento (capital gain) vengono assoggettati, a decorrere dal 1° gennaio 2015, a imposta sostitutiva dell’Irpef al momento della liquidazione della prestazione, secondo un criterio di maturazione dei redditi (12,5% fino al 31/12/2011, 20% nel periodo 1° gennaio 2012 fino al 30 giugno 2014, 26% dal 1° luglio 2014) e della loro tipologia (ad esempio, titoli di stato ed equiparati). Non costituisce, però, base imponibile la parte di premio collegata a prestazioni dirette a coprire il solo rischio morte o demografico (sia nelle polizze di ramo I che di ramo III). Inoltre l’imposizione (capital gain) è applicata al momento del riscatto o dell’evento morte e non durante la fase di maturazione della polizza. Con particolare riferimento alle polizze di ramo III (unit e index linked), l’esenzione dall’imposta di successione e il differimento dell’ applicazione della fiscalità sui rendimenti maturati possono venire meno in presenza di contratti assicurativi oggetto di riqualificazione da parte dell’amministrazione finanziaria, perché ritenuti interposti, o considerati impiego di capitali con contratto a favore di terzo.
Per quanto riguarda l’imposta di bollo o quella sulle attività finanziarie estere (contratti assicurativi di diritto estero, prevalentemente quelli attinenti al ramo III), questa si applica con aliquota pari allo 0,2% annuo, come previsto per gli altri strumenti finanziari a eccezione dei fondi pensione, dei fondi sanitari e, sul fronte assicurativo, delle polizze di rami I che sono esenti. In tema di detrazioni fiscali, i contratti assicurativi (rami I, III, V) aventi per oggetto una prestazione finanziaria non godono di alcuna agevolazione (i contratti di ramo VI hanno invece un’altra disciplina) . Vige ancora, sebbene con forti limitazioni introdotte dal periodo d’imposta 2014, per i premi relativi a contratti assicurativi che hanno per oggetto il solo rischio morte (o invalidità permanente superiore al 5% e di non autosufficienza) un regime di detraibilità massima (consistente nella possibilità di sottrarre una somma dall’imposta lorda dovuta, diminuendone di conseguenza l’imposta complessiva). Il limite massimo previsto è pari al 19% di 530 euro (19% di 1.291,14 euro per assicurazioni relative al rischio di non autosufficienza); ne deriva che l’importo massimo detraibile è di 100,70 euro (prima di tale soglia il limite di detraibilità era pari 1.291,14 euro, 630 euro per l’anno 2013). I premi versati possono essere detraibili anche se sostenuti nell’interesse di familiari fiscalmente a carico (soggetti con un reddito complessivo non superiore a certe soglie: 4 mila o 2.840,51 euro a seconda dell’età fino a 24 anni ovvero superiore). Una fiscalità, dunque, con effetti differenti a seconda del contratto assicurativo stipulato. Ma soprattutto con vantaggi fiscali che si sono fortemente ridotti per i sottoscrittori e che evidenziano come tali modifiche siano intervenute non a modificare nuovi contratti (successivi agli intervenuti normativi), bensì prestazioni su negozi giuridici già stipulati. Un modus operandi, peraltro, già da tempo in uso anche al di fuori dello specifico ambito assicurativo. (riproduzione riservata)
*avvocato patrimonialista-studio legale Lenzi e Associati
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