di Roberta Castellarin e Paola Valentini
I bilanci 2017 di banche e assicurazioni europee devono dire grazie al mondo del risparmio gestito. In un contesto di tassi bassi che mettono pressione ai margini da interesse, le commissioni del wealth management, sia in termini di ricavi da distribuzione che di utili generati dalle fabbriche prodotto hanno contribuito non poco alla crescita dei profitti delle capogruppo. In Italia il caso più emblematico è quello del gruppo Intesa Sanpaolo .
Eurizon nel 2017 ha registrato un utile netto consolidato di 1,23 miliardi di euro, quasi un terzo dei 3,8 miliardi di risultato netto della capogruppo (se non si tiene conto del contributo di 3,5 miliardi ottenuto per il salvataggio delle banche venete). Certo, al risultato del polo di gestione del gruppo Intesa Sanpaolo hanno contribuito i 714,4 milioni derivanti dalla cessione, perfezionata a novembre, della partecipazione in Allfunds Bank, ma al netto di questa operazione l’utile si sarebbe attestato comunque a 511,1 milioni, in crescita del 38,9% rispetto al 2016. Il margine ha raggiunto quota 718,3 milioni (+26,7%). Alla luce di simili numeri, non stupisce che il risparmio gestito sia uno dei pilastri del piano d’impresa 2018-2021 appena presentato da Intesa Sanpaolo . La banca punta a rafforzare la fabbrica-prodotto dell’asset management, portando le masse gestite di Eurizon a circa 400 miliardi entro il 2021 e cerca un partner internazionale come «acceleratore della strategia, mantenendo comunque il pacchetto di maggioranza», come aveva sottolineato l’amministratore delegato Carlo Messina in occasione della presentazione del piano.
Intanto è stato da record anche l’utile netto consolidato (871 milioni, +11% rispetto al 2016) per Fideuram-Intesa Sanpaolo Private banking che così ha raggiunto tutti gli obiettivi del piano industriale 2014-2017 della capogruppo, e adesso si prepara al nuovo percorso tracciato dal business plan al 2021. Anche in questo caso l’aiuto dato al gruppo è stato importante in termini di numeri: i profitti sono stati pari a poco meno di un quarto dell’utile totale realizzato da Intesa Sanpaolo lo scorso anno. A trainare il risultato netto 2017 del polo dedicato ai clienti d’alta gamma presieduto da Matteo Colafrancesco sono state le commissioni nette, salite del 9% al massimo storico di 1,69 miliardi, con quelle ricorrenti (oltre 92%) pari a 1,55 miliardi, +12% rispetto all’anno precedente grazie alla crescita delle masse medie di risparmio gestito (+10%).
Il fenomeno riguarda anche le assicurazioni. In Europa i solidi risultati di Pimco hanno contribuito a un anno record per la divisione di asset management di Allianz , che include Allianz Global Investors. L’utile operativo è salito dell’8% a 697 milioni di euro, con l’utile operativo a 2,4 miliardi (+10%). Gli asset di terze parti in gestione sono saliti di 87 miliardi a 1.450 miliardi alla fine dello scorso anno, trainati da afflussi record per 150 miliardi.
Visti questi numeri, non stupisce che i grandi gruppi si stiano muovendo per trarre vantaggio dalla rivoluzione introdotta dalla Mifid II. La nuova direttiva, nata per tutelare di più i risparmiatori, cambia infatti il modus operandi l’industria. Le regole che riguardano la product governance, ossia l’adeguatezza dei prodotti collocati, impongono un rapporto più stretto tra distributori e fabbriche prodotto (ossia i gestori dei fondi) in termini di flussi di informazioni. Di conseguenza è presumibile che d’ora in poi i distributori preferiranno relazionarsi con un numero più ristretto di fornitori. Sembra quindi sulla via del tramonto il modello dell’architettura aperta a migliaia di prodotti diversi, mentre emergono nuove sgr create dai distributori per offrire ai clienti pacchetti disegnati in base ai diversi profili di clientela. Questi prodotti investiranno in fondi di più società di gestione, come già oggi avviene per fondi di fondi o gestioni patrimoniali.
Le grandi manovre che si vedono nell’industria si collocano proprio in questo nuovo scenario. Per esempio il colosso Generali sta preparando una piattaforma multi boutique. Generali Investments Partners sgr. La società è già stata costituita ed è in attesa dell’autorizzazione a operare. La nuova sgr vede nel board l’attuale capo degli investimenti di Generali , Timothy Ryan, designato presidente, Emiliano Di Giammatteo e Carlo Trabattoni (quest’ultimo vanta una lunga esperienza in Schroders). Mentre la nuova asset management company irlandese di FinecoBank sarà operativa entro il primo semestre di quest’anno.
Intanto è importante anche l’aumento delle masse in gestione. Nei giorni scorsi Azimut ha sottoscritto un accordo che prevede l’acquisto da parte di Azimut sgr delle attività di Sofia sgr. Con questa operazione la società guidata dall’ad Sergio Albarelli aumenterà la propria rete con i 47 consulenti finanziari di Sofia sgr ai quali al 31 dicembre 2017 erano riconducibili asset in gestione per circa 800 milioni. Le grandi manovre appaiono in piena attività anche per approfittare di una fase molto positiva per il settore, che ha chiuso il 2017 con una raccolta netta vicina ai 100 miliardi (97,4 miliardi), quasi il doppio rispetto al 2016 (55,6 miliardi). «La salute dell’industria dell’asset management in Italia si conferma molto buona e vi sono ragioni strutturali per credere che il trend non si inverta per il momento», sottolinea Andrea Boggio, country head italiano di Jupiter Asset Management.
In particolare, Boggio cita la notevole ricchezza privata, la liquidità ancora presente sui conti correnti e gli investimenti diretti in strumenti obbligazionari, che seppur in diminuzione rappresentano un notevole volume di ricchezza potenzialmente trasformabile in risparmio gestito. «Osservo tuttavia alcune tendenze marcate, anche conseguenti all’introduzione di Mifid II: una maggiore propensione delle reti a proporre soluzioni di struttura più guidata, come le gestioni patrimoniali, in contrasto parziale con il processo di apertura delle reti che abbiamo osservato negli ultimi anni», continua Boggio, secondo il quale si va verso una sorta di polarizzazione. «Da un lato i fondi passivi e le grandi storiche case di gestione di elevato standing, dall’altra i gestori attivi specializzati, spesso di dimensioni inferiori, capaci di creare grande valore aggiunto, come Jupiter». Conclude Boggio: «La grande sfida, probabilmente persa in partenza, la stanno affrontando i gestori nella zona grigia intermedia, che chiedono commissioni elevate pur non essendo in grado di offrire performance soddisfacenti». Concorda Pietro Martorella, ceo di Axa Im Italia: «In questo nuovo contesto sarà più facile individuare il valore aggiunto da ogni componente della catena produttiva. Sarà premiato chi riesce a offrire prodotti dal buon rapporto qualità/prezzo».
E anche Axa si è attrezzata per approfittare della rivoluzione in corso. «Da sempre siamo forti nella gestione di prodotti rivolti agli investitori istituzionali, ora vogliamo rafforzarci anche nel canale retail, approfittando proprio dei nuovi spazi aperti dalla Mifid II», dice Martorella. Axa Im nel 2017 ha registrato una raccolta netta complessiva di 4 miliardi euro nei prodotti di risparmio gestito, ma solo 862 milioni in fondi aperti. Quindi vorrebbe dare maggiore impulso a questa componente. «Siamo certi che il nostro robusto modello di business sarà un importante vantaggio competitivo negli anni a venire, anche nell’ottica dei cambiamenti che ci attendono a seguito dell’introduzione della Mifid II», conclude Martorella.
Dai dati Assogestioni emerge che a occupare il gradino più alto del podio della raccolta complessiva 2017 è il gruppo Intesa Sanpaolo con 19,8 miliardi ripartiti tra le due sgr del gruppo: Eurizon (19,2) e Fideuram (634 milioni). Segue la francese Amundi con 12,5 miliardi e Generali , con 9,8 miliardi. Considerando i soli fondi aperti, prima per flussi dell’anno è sempre Intesa Sanpaolo con 18,2 miliardi (18,6 miliardi Eurizon e -431 milioni Fideuram), poi Generali con 10,9 miliardi e Amundi con 9,3 miliardi. Si piazzano subito dopo le case estere M&G con 6,6 miliardi (un dato ai massimi storici in Italia, si veda box) Jp Morgan Asset Management con 4,8 miliardi e Invesco con 3,8.
Il gruppo del leone alato è però primo per patrimonio complessivamente gestito, con 482 miliardi, al secondo posto c’è il gruppo Intesa Sanpaolo con 399 miliardi. Terzo Amundi, con 204 miliardi. Messe insieme, le tre società gestiscono dunque più di metà dell’intero patrimonio dell’industria italiana del risparmio gestito, che a fine 2017 ha toccato la cifra record di 2.089 miliardi. (riproduzione riservata)
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