Il settore più attivo è il banking-finance-insurance (21%)
Pagina a cura di Roxy Tomasicchio
Intelligenza artificiale all’anno zero, in Italia. Oggi, pur essendo molto più frequente di qualche anno fa sentir parlare di tutti quegli hardware e software dotati di abilità umane come le relazioni, l’apprendimento, il ragionamento e la pianificazione, a passare dalle parole ai fatti sono ancora in pochi. Il 56% delle grandi imprese, contro il 70% in Germania e Francia, ha avviato dei progetti orientati soprattutto su soluzioni di Intelligent Data Processing (35%) e di Virtual Assistant/Chatbot (25%), ossia, rispettivamente, quelle soluzioni che sfruttano algoritmi per estrarre informazioni da dati e quei software capaci di eseguire azioni e dare servizi a interlocutori umani. I settori trainanti sono, invece, quelli bancari, finanziari, assicurativi e dell’automotive. Questi alcuni degli elementi più rilevanti della ricerca dell’Osservatorio Artificial Intelligence della School of Management del Politecnico di Milano, che ha analizzato 721 imprese e 469 casi di utilizzo di intelligenza artificiale, riferibili a 337 imprese internazionali e italiane. Stando ai 469 casi esaminati, solo il 38% delle iniziative di intelligenza artificiale individuate nel mondo è a regime, ossia non solo già usate, ma soggette a un processo di miglioramento continuo già strutturato. In dettaglio, come spiega Alessandro Piva, direttore dell’Osservatorio Artificial Intelligence: «Una su cinque, il 21%, è in corso di implementazione, in una fase di rilascio su larga scala che coinvolge buona parte dei processi e degli utenti. Una quota analoga, invece, è ancora in fase pilota, durante cui vengono misurati i primi risultati e individuate le criticità, il 20% è ancora soltanto un’idea progettuale, con un budget stanziato per esplorare un possibile progetto in un campo d’applicazione ben definito».
Come anticipato, per il momento gli sforzi e gli investimenti delle imprese pioniere si stanno concentrando su Intelligent Data Processing (35) e i Virtual Assistant o Chatbot (25%), seguono a distanza le soluzioni di Recommendation (10%), cioè tutte le raccomandazioni personalizzate per indirizzare le decisioni del cliente in diversi momenti del percorso d’acquisto basandosi su informazioni fornite dagli utenti stessi; Image Processing (8%), che analizzano le immagini per il riconoscimento biometrico e l’estrazione di informazioni; Autonomous Vehicle (7%), mezzi a guida autonoma; e Intelligent Object (7%), capaci di eseguire azioni senza intervento umano, interagendo con l’ambiente circostante tramite sensori e apprendendo dalle azioni delle persone che li usano. Chiudono l’elenco soluzioni marginali come Language Processing (4%), che elaborano il linguaggio per comprendere un testo, tradurlo o produrlo in autonomia a partire da dati e documenti, e Autonomous Robot (4%), in grado di spostarsi e muovere alcune parti, manipolare oggetti ed eseguire azioni in autonomia.
«Siamo solo agli inizi di un percorso di diffusione e di comprensione del potenziale dell’intelligenza artificiale», aggiunge Nicola Gatti, direttore dell’Osservatorio Artificial Intelligence, «dall’autovettura che si guida da sola all’elettrodomestico che impara stile di vita e necessità della famiglia, dall’assistente personale che consiglia le decisioni di spesa fino ai robot assistenziali per disabili e anziani, ogni esperienza del quotidiano può essere ripensata alla luce delle capacità delle macchine. La velocità con cui questo avverrà dipenderà dall’esistenza di soluzioni tecnologiche consolidate, dalla capacità di gestire un delicato cambiamento nelle organizzazioni e dal bilancio».
Spostando l’analisi sui settori, il comparto più attivo nell’introdurre soluzioni di intelligenza artificiale a livello internazionale è il banking-finance-insurance, che raccoglie il 21% delle applicazioni. Motivazione trainante è l’opportunità di conoscere meglio i propri clienti e garantire un servizio mirato. Il secondo è quello dell’automotive (12%), supportato dai grandi investimenti finalizzati allo sviluppo di veicoli a guida autonoma. Seguono, con percentuali comprese fra il 6 e l’8%, i settori hi-tech, retail e telco, interessati a offrire un servizio più flessibile e personalizzato.
A fare da eco alla ricerca dell’Osservatorio del Politecnico di Milano è un’altra ricerca, di Sas, intitolata The Enterprise AI Promise, secondo cui le imprese sono ancora scettiche: preferiscono stare a guardare piuttosto che agire direttamente. La mancanza di casi d’uso diffusi spesso intimidiscono le aziende, per le quali la fiducia è una delle principali sfide da affrontare. Un altro freno è rappresentato dalle competenze, il 20% ritiene infatti che le proprie persone siano pronte ad affrontare la sfida dell’AI, mentre il 19% non dispone in azienda di un team ad hoc. Assumere Data Scientist per portare nuove figure all’interno dell’azienda rientra nei piani del 28% degli intervistati, mentre il 32% afferma di voler sviluppare competenze AI nell’ambito dei team esistenti.
Quando si parla di intelligenza artificiale è inevitabile affrontare il tema dell’etica e degli impatti che si avranno. Il 50% degli intervistati da Sas ritiene, infatti, che la più grande sfida legata all’intelligenza artificiale riguardi il cambiamento del lavoro svolto dall’uomo. Questo potenziale effetto include la perdita di posti di lavoro, ma anche lo sviluppo di nuove professionalità, che richiedono nuove competenze specifiche legate all’Intelligenza Artificiale. Sullo stesso tema, l’Osservatorio ha analizzato pubblicazioni internazionali e nazionali (scientifiche o di opinionisti di rilievo) circa l’impatto sul bilancio occupazionale, ma anche la prospettiva cognitiva, psicologica e sociale della sostituzione del lavoro umano con quello delle macchine. Tre le tendenze rilevabili: pur essendo in una fase di transizione, risulta che la domanda di lavoro nei progetti di intelligenza artificiale è cresciuta, e non diminuita. Inoltre, le soluzioni di AI oggi sono utilizzate più come leva competitiva esterna per migliorare i servizi e la qualità che non come strumento per aumentare l’efficienza interna. Infine, le imprese appaiono consapevoli della delicatezza del tema, selezionando attentamente i progetti da attivare, considerando sia i benefici attesi sia l’accettabilità interna ed esterna dell’innovazione. «I risultati incoraggianti devono consigliarci un tono non allarmistico, senza però porre il tema in una luce semplicisticamente positiva», commenta Giovanni Miragliotta, direttore dell’Osservatorio Artificial Intelligence, «sarebbe sbagliato infatti abbracciare con superficiale entusiasmo le capacità dell’Artificial Intelligence: servono riflessione e responsabilità, in un progetto strategico che dia risposta alle preoccupazioni e alle aspettative della forza lavoro».
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