di Giovanni Daprà*
La Mifid 2 è entrata in vigore e tutti si chiedono quali saranno gli effetti più evidenti dell’introduzione della nuova regolamentazione. La questione è centrale in Italia, dove il mercato dei servizi finanziari è ancora caratterizzato dalla presenza di una filiera di stampo tradizionale, che fa ampio affidamento sulle reti di distribuzione e vendita. Questo vuol dire che gli standard qualitativi, a cui la Mifid 2 mira, sono più lontani che altrove. La norma vuole rivoluzionare il mercato dei servizi finanziari in modo laterale. Garantendo più diritti agli investitori e regolamentando maggiormente l’attività di case prodotto e intermediari, si punta a migliorare le tutele dei risparmiatori attraverso un meccanismo di mercato. Per capire quale potrebbe essere l’impatto, crediamo che sia interessante svolgere un’analisi comparativa con la situazione della Gran Bretagna.
Nel 2012 è entrata in vigore la Retail Distribution Review (Rrd), norma che regolava il mercato dei servizi finanziari con lo scopo di garantire ai clienti maggiore chiarezza e migliori standard qualitativi. Cosa è cambiato? La norma inglese ha contribuito a incrementare il livello di professionalità della filiera.
Dal 2012, circa il 96% dei consulenti ha completato il processo di adeguamento al livello richiesto dalla normativa. Nel 2010 il 22% dei consulenti non possedeva un livello di qualifica coerente con quanto richiesto dalla Rdr. A un aumento della qualifica è seguito anche un calo dei professionisti attivi nel settore, che sono scesi dai 50 mila del picco del 2009 ai meno di 30 mila di oggi. Inoltre la maggiore trasparenza riguardo i costi della consulenza ha portato moltissimi risparmiatori, soprattutto nella parte mass del mercato, a optare per il fai da te o per servizi più automatizzati come le piattaforme digitali. Secondo una ricerca Mintel, dopo l’introduzione della Rdr, il 44% dei risparmiatori dichiarava che avrebbe optato per il fai da te, un dato in netta crescita dal 2008, ma che ha subito un’impennata a partire dal 2013, così come le vendite delle piattaforme o di altri modelli di distribuzione più disintermediati.
Non solo. Il divieto delle commissioni ha portato la maggioranza delle compagnie a modificare o almeno ripensare il proprio modello di business. Le aziende hanno aumentato la segmentazione della clientela e la diversificazione dei propri modelli di servizio. Nonostante ciò, non ci sono evidenze che l’offerta di consulenza finanziaria sia diminuita in modo drastico. Nel frattempo le banche sono uscite di scena, abbandonando il business della consulenza ai clienti retail e tagliando in maniera netta il numero dei consulenti (-40%). Difficile capire il peso della Rdr in questa scelta. Secondo la Financial conduct authority (Fca ) la riforma è stata uno dei fattori «insieme ad altre considerazioni di tipo strategico». Il mercato si è spostato molto velocemente verso prodotti caratterizzati da fasce commissionali più basse, con beneficio per i consumatori. Una ricerca dell’Ima dimostra che la proporzione dei prodotti appartenenti alla categoria commissionale più alta è diminuita dal 58% del 2009 al 19% del 2014. A essere penalizzati sono stati i prodotti più costosi come le polizze e le obbligazioni strutturate: ad avvantaggiarsi sono stati i prodotti passivi come gli Etf.
Difficile capire se questo cambiamento sia unicamente da imputarsi agli effetti della Rdr, che avrebbe determinato, grazie alla maggior trasparenza, una necessità degli intermediari di tenere in maggior considerazione l’efficienza e il costo dei prodotti. Altre tendenze hanno favorito la transizione, come l’uscita dal mercato delle banche, che erano i principali produttori di strumenti strutturati, e il ciclo finanziario, che ha favorito le strategie passive. La tendenza europea che ha visto una crescente prevalenza degli strumenti passivi tra quelli di nuova collocazione sembra indipendente dalla nuova regolamentazione. C’è però da dire che questa tendenza non è stata uniforme in tutti i mercati. Sul mercato dei fondi italiano, per esempio, abbiamo assistito al successo dei prodotti a cedola a finestra di collocamento.
Infine non si è evidenziato un passaggio netto dalla consulenza non indipendente alla consulenza indipendente. Solamente due dei primi dieci gruppi di consulenza finanziari britannici (Hargreaves Lansdown e Awd Chase de Vere) hanno adottato l’etichetta di società indipendenti, mentre i restanti si sono dichiarati restricted. La stessa Fca evidenzia come i volumi gestiti dalle società di consulenza restricted rappresentino circa il 62% delle entrate totali del settore. Il dato ha disatteso le proiezioni iniziali che avevano previsto un netto rafforzamento della consulenza su base indipendente post-Rdr quale naturale conseguenza della richiesta esplicita di crescenti standard di trasparenza.
*amministratore delegato e co-fondatore di Moneyfarm
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