di Alessandro Carollo
«Nei primi nove mesi dell’anno abbiamo fatto numerose transazioni per migliorare la flessibilità del nostro portafoglio e investire in nuovi asset. Per esempio, abbiamo realizzato la vendita della quota in Intesa Sanpaolo ». Era l’autunno del 2014 e Alberto Minali, allora direttore finanziario delle Generali , uscito dal gruppo un mese fa, annunciava così l’uscita del Leone dalla partecipazione in Intesa Sanpaolo . La volontà di dismettere era di Mario Greco, allora amministratore delegato, l’uomo che ha assunto l’attuale ad, Philippe Donnet.
Nell’aprile del 2013 le Generali possedevano il 3,15%, poi scesero al 2,6% al 31 dicembre 2013; Greco aveva poi incaricato Minali di scendere al di sotto del 2% del capitale di Ca’ de Sass nel giugno 2014, vendendo uno 0,8% e poi via via azzerando o quasi tutta la partecipazione. In più occasioni l’allora group ceo di Generali aveva sottolineato che quel pacchetto non era più una quota strategica ma rientrava a pieno titolo tra gli asset oggetto di gestione attiva. Ora Donnet ricompra quello che Greco ha venduto, investendo 1,1 miliardi per il 3% di Intesa Sanpaolo , a cui verosimilmente dovrà aggiungere il costo dell’annunciata sterilizzazione della partecipazione da eventuali future minusvalenze.
È vero che un titolo che ai prezzi attuali offre l’8% di rendimento del dividendo come Intesa Sanpaolo è il beniamino di ogni compagnia assicurativa, ma tra Milano e Trieste i giri di valzer non finiscono mai. Nel 2013 infatti Carlo Messina aveva messo l’1,3% di Trieste sul mercato, azzerando la posizione sul gruppo assicurativo, incassando circa 350 milioni. Forse finirà che aveva ragione Antoine Bernheim, allora presidente delle Generali , quando nel 2007 sosteneva, poco dopo la fusione tra Intesa e il Sanpaolo Imi e con l’unione tra Unicredit e Capitalia in arrivo, che Trieste sarebbe salita oltre il 5% in Ca’ de Sass per «supportare l’espansione all’estero» dell’istituto? (riproduzione riservata)
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