di Anna Messia
Anche le compagnie di assicurazione vogliono trasparenza sulle polizze dormienti. Le imprese sono pronte a sottoscrivere le proposte che mercoledì 8 l’Ivass ha fatto al legislatore annunciando l’avvio di un’indagine conoscitiva sulle polizze Vita arrivate a scadenza e il cui rimborso non è stato reclamato dal sottoscrittore e neppure dai suoi eredi. «Le polizze dormienti devono andare ai reali beneficiari e non finire nel calderone del Fondo rapporti dormienti della Consap», hanno dichiarato mercoledì all’istituto di controllo presieduto dal direttore generale della Banca d’Italia, Salvatore Rossi. E proprio per sapere quanto valgono complessivamente in Italia le polizze Vita che giacciono presso le imprese, già prescritte o in attesa della prescrizione, l’autorità è pronta a chiedere informazioni alle compagnie, ma con un obiettivo in mente più ambizioso: far arrivare quel denaro ai legittimi proprietari, cambiando la legge. «È importante assicurare che le somme frutto del risparmio e delle scelte previdenziali dei cittadini finiscano nelle mani dei beneficiari», hanno fatto sapere dall’Ivass, aggiungendo che per «riuscirci servono modifiche legislative». Interventi che in altri Paesi hanno avuto successo. Come in Francia, per esempio, dove sono emersi 5 miliardi di euro di polizze dormienti. La proposta dell’autorità di vigilanza assicurativa è in particolare quella di consentire alle compagnie di accedere alla istituenda Anagrafe Nazionale della Popolazione Residente (ANPR) e obbligarle poi a consultarla almeno una volta l’anno per verificare i decessi degli assicurati e spingerle anche ad attivarsi verso i beneficiari per dar loro la possibilità di far valere i propri diritti. Richieste cui l’Ania è pronta ad aderire, come spiega a MF-MilanoFinanza Luigi Di Falco, responsabile Vita, Welfare e Danni dell’associazione che rappresenta le compagnie di assicurazione. Perché in questa questione i clienti e le imprese sono dalla stessa parte, spiega Di Falco: «trascorsi dieci anni dalla scadenza della polizza Vita senza richiesta di rimborso del capitale le imprese sono obbligate a versare i capitali in un fondo Consap che è stato creato per rimborsare le vittime dei crac finanziari, da Parmalat in poi».
Le imprese, insomma, non hanno alcun interesse a trattenere momentaneamente quelle somme che richiedono anzi costi amministrativi, spiegano dall’Ania. Tanto è vero che nell’associazione da qualche anno è stato creato un servizio per tentare di risolvere il problema degli eredi che sanno di avere diritto a una polizza Vita, ma non sanno con quale compagnia sia stata sottoscritta. L’Ania fa in pratica fa da tramite tra gli eredi e le imprese aderenti alla sua associazione, per verificare di quale compagnia si tratti. «Un’iniziativa che ha avuto una certa adesione», aggiunge Di Falco, «ma che non è certo sufficiente a risolvere il problema che proprio come dice l’Ivass non ha bisogno solo di iniziative private ma anche di un intervento legislativo che consenta alle imprese di avere accesso all’anagrafe e verificare l’eventuale decesso del cliente, attivandosi quindi di conseguenza con gli eredi».
Ma quanto è diffuso questo fenomeno in Italia? Anche in Italia si potrebbero scovare i 5 miliardi liberati in Francia? «La sensazione è che non sia un fenomeno molto diffuso perché in genere all’interno della famiglia si è a conoscenza delle polizze sottoscritte dai proprio parenti», continua Di Falco, «ma i casi diventano più frequenti nel caso in cui ci siano donazioni al di fuori della famiglia». In ogni caso si tratta solo di una sensazione.
L’indagine dell’Ivass potrà fare luce per la prima volta sui numeri effettivi delle polizze a rischio di dormienza in Italia. «Siamo pronti a fornire i nostri dati all’istituto di controllo. Sarebbe anche utile avere contezza delle cifre gestire dalla Consap», aggiunge il dirigente Ania, «ma finora la concessionaria dei servizi assicurativi pubblici ha ritenuto di non renderli pubblici».
La svolta, secondo Di Falco, potrà però arrivare solo con l’intervento legislativo che consenta alle imprese di avere accesso ai dati sull’anagrafe. «Si tratterebbe indubbiamente di una limitazione della privacy, giustificata però dal fatto che si tratta di persone decedute e dalla giusta necessità di indirizzare questi risparmi verso i legittimi beneficiari». (riproduzione riservata)
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