Se ci si ferma alle dichiarazioni formali, il progetto Intesa -Generali oscilla ancora tra un «case study» (Carlo Messina) e un’operazione che non esiste (Gian Maria Gros-Pietro), tanto che non potrebbe neppure parlarsi, per la sua ora non prevista attuazione, di una «deadline» (sempre Gros-Pietro). Ciò dimostra che la riflessione sta tuttora continuando ed eventualmente contatti vari sono in corso, per cui lo stadio del progetto sarebbe ancora preliminare e, comunque, sarebbe aperto a tutti gli sviluppi, anche a un indietreggiamento per l’accantonamento dell’iniziativa. Naturalmente, resta da capire, se così stessero le cose, le ragioni per le quali l’operazione in questione sia, invece, apparsa nelle cronache a uno stadio ben più avanzato, tanto da far considerare, poi, il rallentamento come la condizione di chi permane in mezzo al guado, se non addirittura di chi deve affrontare una impasse.
Poiché il disegno resta sicuramente valido per le ragioni più volte esposte su queste colonne che riguardano non solo i possibili partner dell’integrazione, ma anche gli altri soggetti coinvolti, a partire dalla esigenza di un ruolo diverso di Mediobanca , nonché il sistema e poiché azionisti di rilievo di IntesaSanpaolo quali sono le Fondazioni concorderebbero sulla importanza e validità del progetto, allora occorre porre attenzione perché la gestione, anche sotto il profilo comunicazionale, non finisca con il recare qualche danno all’iniziativa. Intanto, le qualificazioni attribuite a quest’ultima, nei termini sopra indicati, dal vertice dell’Istituto potranno tenere banco ancora per un po’, ma poi sarà necessario un chiarimento effettivo non potendo l’iniziativa metaforicamente ridursi a un’Araba fenice che c’è ma nessuno sa dove sia (rectius: quale sia). Si può anche immaginare che, considerato il potenziale ruolo di Unicredit nella vicenda, quale primo azionista del partecipante (Mediobanca ) di riferimento di Generali – il cui a.d. Philippe Donnet nei giorni scorsi ha incontrato a Palazzo Chigi il presidente Paolo Gentiloni – si voglia attendere la conclusione dell’aumento di capitale del suddetto Istituto per 13 miliardi ora in corso. A maggior ragione perché l’a.d. Jean-Pierre Mustier ha non molto tempo fa espresso concetti duri nei confronti di Mediobanca , non certo rimossi con la partecipazione dello stesso, il 16 febbraio, alla riunione, a Piazzetta Cuccia, del Direttivo del Patto di sindacato, partecipazione che si è voluta forzatamente presentare da qualcuno come il superamento delle giuste esigenze dell’azionista che Mustier ha inteso far valere nei riguardi di Mediobanca .
Se, comunque, anche alla suddetta scadenza fosse collegato il silenzio di Intesa , fra non molto pure una tale vicenda, conclusa la ricapitalizzazione, non potrà essere eventualmente utilizzata per un atteggiamento ancora sfingeo. D’altro canto, dati il ruolo, le tradizioni e la forza di Intesa , un abbandono dell’iniziativa (ancorché nella forma dichiarata dal vertice come inesistente) richiederebbe, a questo punto, motivazioni maggiori di quelle occorrenti per la sua prosecuzione, essendo in ballo l’immagine e la reputazione. In sostanza, non deve accadere – magari per la non condivisione di un numero circoscritto di fondi – che un importante progetto subisca, a poco a poco, un lento insabbiamento. Allora non ci sarebbe da stupirsi – o almeno ciò vogliamo auspicare – se Intesa , con il suo prestigio e forte anche delle valutazioni dell’operazione nel complesso positive di analisti e osservatori, superata questa fase di surplace, produca ex abrupto un progetto compiuto, peraltro non vincolato esclusivamente (almeno per ragioni tattiche) alla consensualità dell’aggregazione. La chiarezza e la determinazione sarebbero un fattore positivo anche per le Generali e per il sistema. (riproduzione riservata)
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