Qualora la messa in circolazione dell’autoveicolo in condizioni di insicurezza (e tale è la circolazione di un ciclomotore con a bordo due persone in violazione dell’articolo 170 del codice della strada), sia ricollegabile all’azione o omissione non solo del trasportato, ma anche del conducente (che prima di iniziare o proseguire la marcia deve controllare che essa avvenga in conformità delle normali norme di prudenza e sicurezza), fra costoro si è formato il consenso alla circolazione medesima con consapevole partecipazione di ciascuno alla condotta colposa dell’altro ed accettazione dei relativi rischi; pertanto, in caso di eventi dannosi si verifica un’ipotesi di cooperazione nel fatto colposo, cioè di cooperazione nell’azione produttiva dell’evento (diversa da quella in cui distinti fatti colposi convergano autonomamente nella produzione dell’evento).
Il primo comma dell’art. 1227 c.c. concerne il concorso colposo del danneggiato, configurabile solamente in caso di cooperazione attiva nel fatto colposo del danneggiante; nell’affermare il suindicato principio la S.C. ha escluso la configurabilità di un concorso colposo del danneggiato nella mera accettazione, da parte del medesimo, del trasporto su autovettura con alla guida conducente in evidente stato di ebbrezza, non assurgendo tale condotta a comportamento materiale di cooperazione incidente nella determinazione dell’evento dannoso).
La questione si innesta nella interpretazione dell’articolo 1227, primo comma, c.c., che è una delle norme del codice civile disciplinanti la responsabilità, sia sotto il profilo del nesso causale, sia sotto il profilo della natura – che deve essere colposa – della condotta rilevante.
Consolidata giurisprudenza insegna che, affinché la condotta del danneggiato integri la fattispecie di cui all’articolo 1227, primo comma, occorre che essa costituisca una colposa cooperazione attiva per la realizzazione del fatto dannoso, laddove nel caso in cui il fatto dannoso sia imputabile esclusivamente al danneggiante ricorre la fattispecie di cui al secondo comma dello stesso articolo.
Sulla scorta di questa lettura si sono individuati, in particolare, casi di corresponsabilità del trasportato su un veicolo in conseguenza di sua colposa cooperazione all’azione produttiva dell’evento dannoso, identificato peraltro quest’ultimo non solo nel sinistro stradale, bensì pure nella messa in circolazione del veicolo – che poi incorre nel sinistro – in condizioni di insicurezza.
Logicamente prima ancora che giuridicamente, il fatto colposo del danneggiato condivide con l’autore della condotta danneggiante la responsabilità se si inserisce nella serie causale da cui discende l’evento dannoso; naturalmente non occorre che il suo contributo eziologico si attui mediante una condotta colposa attiva, ben potendo realizzarsi anche con una condotta colposa omissiva (come, appunto, è stato più volte riconosciuto nei casi di omesso allacciamento delle cinture di sicurezza da parte del trasportato su una vettura).
L’esposizione volontaria a un rischio, o, comunque, la consapevolezza di porsi in una situazione da cui consegua la probabilità che si produca a proprio danno un evento pregiudizievole, è idonea ad integrare una corresponsabilità del danneggiato e a ridurre, proporzionalmente, la responsabilità del danneggiante, in quanto viene a costituire un antecedente causale necessario del verificarsi dell’evento, ai sensi dell’art. 1227, primo comma, c.c., e, a livello costituzionale, risponde al principio di solidarietà sociale di cui all’art. 2 Cost. avuto riguardo alle esigenze di allocazione dei rischi (riferibili, nella specie, all’ambito della circolazione stradale) secondo una finalità comune di prevenzione, nonché al correlato obbligo di ciascuno di essere responsabile delle conseguenze dei propri atti.
Si trattava di un caso in cui il danneggiato, cui era stato attribuita la corresponsabilità, aveva partecipato su una vettura come passeggero ad una gara automobilistica notturna e clandestina. Nella sua accurata motivazione, la pronuncia afferma che non rileva ai fini dell’articolo 1227, primo comma, c.c. soltanto una cooperazione attiva del danneggiato, dovendosi individuare il suo concorso causale anche nei casi di esposizione al rischio superiore alla norma.
Con l’accettazione consapevole del rischio cui si sottoponeva il trasportato aveva realizzato un antecedente causale necessario non del sinistro (fatto dannoso), bensì dell’evento a suo danno verificatosi (cioè le lesioni all’integrità fisica): perciò nella misura in cui detto evento era risultato addebitabile al suo apporto causale non se ne poteva attribuire responsabilità ad altri. Ciò viene desunto – illustra sempre la motivazione dell’arresto – dall’articolo 1227, primo comma, c.c., interpretato anche alla luce costituzionale della solidarietà sociale (articolo 2 Cost.) da cui si evince il principio dell’auto/responsabilità.
Diventa allora necessario determinare quale sia la soglia di rilevanza causale di esposizione volontaria al rischio: e nella convivenza civile non si può pretendere una regola di prudenza perfetta, cioè che ci si sottragga ad ogni rischio. È quindi rilevante la condotta che viola norme giuridiche (come appunto nel caso del trasportato che non allaccia le cinture). Meno immediata è la soluzione se si violano norme non giuridiche, ovvero di regole di prudenza: ma comunque si può giungere a ritenere che il danneggiato ponga in essere una condotta – attiva o omissiva – causalmente rilevante in tutti i casi in cui accetti volontariamente di esporsi ad un rischio gratuito, cioè non necessitato e neppure giustificato dall’attività che egli debba svolgere. Si tratta, in ultima analisi, di un rischio anormale, cioè gratuito, consapevole, dovuto ad una scelta voluttuaria e gravemente imprudente.
Da ciò deriva una accettazione consapevole che si traduce nella partecipazione anche senza un ruolo attivo ad una attività contra legem, o comunque, pur se non vietata dalla legge, ad un’attività contraria ad una regola di prudenza avvertita come esistente e vincolante nella coscienza sociale del tempo.
Questa impostazione, senza dubbio profondamente influenzata dalla particolarità della vicenda fattuale, presenta peraltro criticità, in quanto viene a svincolare la connessione causale tra la condotta del trasportato e l’evento dannoso – cioè l’incidente stradale -, ritenendo sufficiente che il trasportato, anziché inserirsi con la sua condotta, attiva od omissiva, nella serie causale concretamente verificatasi come produttiva dell’incidente, abbia posto in essere una condotta di per sé gravemente rischiosa.
Se si intende considerare esclusivamente dal punto di vista materiale la serie causale è evidente che ogni trasportato che acconsente di farsi trasportare si pone sempre, attraverso le sua scelta, in connessione causale con l’incidente.
Ma ciò non può in toto coincidere con la serie causale giuridicamente rilevante.
Per questa, come detta l’articolo 1227, primo comma, c.c., non solo deve sussistere un fatto colposo – cioè una condotta, attiva o omissiva, imprudente anche al massimo grado -, ma occorre altresì che tale fatto colposo abbia concorso a cagionare il danno. Semanticamente, il danno non significa l’evento dannoso. Logicamente, peraltro, non si vede come il fatto colposo possa concorrere a cagionare il danno se non attraversa, causalmente contribuendovi, anche il suo imprescindibile e conclusivo presupposto, ovvero l’evento dannoso: evento dannoso cui si riferisce, infatti, la tradizionale lettura nomofilattica dell’articolo 1227, primo comma, c.c.
Se, invece, si svincola la condotta del trasportato-danneggiato dal ruolo di concreta concausa – id est la classica cooperazione colposa – rispetto all’evento dannoso, limitandola ad una probabilistica scelta di rischio, per quanto elevato (e una probabilistica scelta di rischio può essere anche l’accettare di farsi trasportare da un soggetto in ebbrezza alcolica), si giunge a configurare per il trasportato un trattamento normativo assimilabile ad una corresponsabilità oggettiva, laddove il soggetto che lo trasporta quando si verifica l’evento dannoso può anche rimanere indenne da ogni quota di responsabilità.
Corte di Cassazione, sez. III Civile, 19 gennaio 2017 n. 1295