Mentre l’azione ai sensi dell’art. 2043 c.c. comporta per il danneggiato la necessità di provare l’esistenza del dolo o della colpa a carico del danneggiante, nel caso di azione fondata sull’art. 2051 c.c., la responsabilità del custode è prevista dalla legge per il fatto stesso della custodia, potendo questi liberarsi soltanto attraverso la gravosa dimostrazione del fortuito
L’azione di responsabilità fondata sulla violazione di un obbligo di custodia è intrinsecamente diversa da quella fondata sul principio generale del neminem laedere.
Ciò in quanto l’applicabilità dell’una o dell’altra norma implica, sul piano eziologico e probatorio, diversi accertamenti e coinvolge distinti temi d’indagine, trattandosi di accertare, nel primo caso, se sia stato attuato un comportamento commissivo od omissivo, dal quale è derivato un pregiudizio a terzi, e dovendosi prescindere, invece, nel caso di responsabilità per danni da cosa in custodia, dal profilo del comportamento del custode, che è elemento estraneo alla struttura della fattispecie normativa di cui all’art. 2051 c.c., nella quale il fondamento della responsabilità è costituito dal rischio, che grava sul custode, per i danni prodotti dalla cosa che non dipendano dal caso fortuito. In altre parole, mentre l’azione ai sensi dell’art. 2043 cod. civ. comporta la necessità, per il danneggiato, di provare l’esistenza del dolo o della colpa a carico del danneggiante, nel caso di azione fondata sull’art. 2051 cod. civ. la responsabilità del custode è prevista dalla legge per il fatto stesso della custodia, potendo questi liberarsi soltanto attraverso la gravosa dimostrazione del fortuito; ne consegue un’ovvia differenza in ordine ai temi di indagine ed al riparto dell’onere della prova, perché nel primo caso il danneggiato dovrà attivarsi a dimostrare qualcosa, mentre nel secondo sarà il danneggiante a doversi attivare.
Cassazione civile sez. III, 21/09/2015 n. 18463