di Francesca Vercesi
All’indomani della costituzione dell’Albo unico e incassata la sospirata denominazione di consulenti finanziari, tra i pf aleggia ora la paura che l’ingresso sul mercato di nuovi professionisti si traduca in un calo del livello medio delle competenze. Tra i rischi intravisti dai promotori, al primo posto si colloca la deprofessionalizzazione della categoria, alla luce dell’apertura a figure professionali non competenti in materia finanziaria.
Il dato emerge dall’indagine presentata ieri, giorno di chiusura di ConsulenTia 2016-Professionisti in Capitale, l’evento romano promosso da Anasf che si è tenuto all’Auditorium della Musica, dal titolo «Risparmio. Protagonisti a confronto. Indagine tra consulenti finanziari, private banker e bancari». Lo studio è stato condotto su un campione di 100 gestori della clientela mass/retail, 100 private banker e 100 consulenti finanziari iscritti Anasf tramite interviste telefoniche dal 10 dicembre 2015 al 7 gennaio 2016. Nel confronto tra categorie professionali, mentre si registra la piena soddisfazione dei private banker di origine bancaria, più di un pf su tre lo è solo in parte. Punti critici: la mancanza di una coscienza di categoria, il peso delle responsabilità e il rapporto con le mandanti, definite «poco evolute, insensibili e disattente soprattutto rispetto al bisogno di riconoscimento», si legge nell’indagine. Il private bancario, dal canto suo, si dice più soddisfatto grazie alla protezione garantita dalla posizione occupata all’interno della struttura in cui lavora, da un guadagno certo e dal fatto che, in molti casi, non si deve procacciare i clienti perché glieli fornisce la banca. Sta di fatto che però, alla luce di un sistema bancario che va incontro a processi di ristrutturazione, riduzione di organico e chiusura di sportelli, è emerso che, seppure con un tempo dilatato, ci sarà un fisiologico passaggio dei private dalle banche verso le reti di consulenza finanziaria, dove c’è maggiore libertà di scelta sul pricing e sui modelli distributivi. Dall’indagine emerge che del mondo dei pf i private banker invidiano l’indipendenza, mentre vedono come punto di criticità l’immagine oscurata delle banche. «Non sarà un processo veloce né rivoluzionario», spiega Massimo Doris, ad di Banca Mediolanum , «ma con il processo di cambiamento a cui le banche stanno andando incontro sarà favorita la tendenza dei banker a confluire verso le reti». Sintetizza Maurizio Bufi, presidente di Anasf: «La crisi del sistema bancario ci sta favorendo ma dobbiamo anche preoccuparcene, perché anche noi ne siamo parte. Di sicuro, però, questa è l’alba di una nuova stagione dove finalmente si sta dando valore al nostro ruolo di operatori qualificati». Gian Maria Mossa, condirettore generale di Banca Generali , spiega che «si sta vivendo un cambiamento epocale quanto a logiche di investimento. Ha poco senso continuare ad aprire ai prodotti di case terze. Bisogna investire su piattaforme che rendano la vita più semplice e poi risolvere il problema delle fiscalità. Eliminare, in altre parole, le inefficienze del sistema». E dal mondo della politica Luigi Casero, viceministro all’economia e alle finanze, aggiunge: «Stiamo lavorando per snellire la fiscalità e le pratiche burocratiche. Al contempo emerge sempre più la necessità di innalzare il livello medio dell’educazione finanziaria, a cominciare dai consulenti. Ma questo del cambio di denominazione è stato un grande passo avanti». A toccare un altro punto sensibile è stato poi Armando Escalona, ad di F&F Banca (gruppo Deutsche Bank ): «Ci stiamo focalizzando su tre figure professionali, ma con la Legge di stabilità è stato introdotto un quarto competitor sul mercato della consulenza, gli agenti assicurativi, che pare avranno un accesso semplificato all’esame di ammissione all’Albo». Bufi ha assicurato «un’attenta vigilanza» sul punto. (riproduzione riservata)
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