Una delle conseguenze della rivoluzione digitale nel prossimo decennio sarà che all’interno delle aziende e della p.a., come nell’agire quotidiano, non sarà possibile non avere a che fare con un flusso di dati e operazioni, che non sia frutto di un processo telematico e di quest’ultimo ignorarne il funzionamento. E, che sia un bene o un male, l’identità sociale di ognuno di noi sarà legata a questa consapevolezza e a queste reti di competenze. Competenze che vanno coltivate lungo tutto l’arco della vita e dalle quali non saranno esentati nemmeno i cosiddetti nativi digitali. Perché si tratta di un sapere non intuitivo ma sofisticato. È un tema che viene affrontato in profondità nel secondo rapporto dell’Osservatorio delle Competenze digitali, condotto dalle principali associazioni Ict: Aica, Assinform, Assintel e Assinter Italia e promosso dall’Agenzia per l’Italia Digitale (AgID) con la realizzazione di NetConsultingcube.
Oggi il 90% delle aziende e della pubblica amministrazione si dichiara consapevole dell’impatto della trasformazione digitale, sia a livello individuale che di sistema, e della necessità di adeguare le competenze digitali ai nuovi trend del settore (mobile, digitalizzazione di flussi e processi, business analytics, IoT, cloud computing, evoluzioni Web, pagamenti elettronici). Eppure nei prossimi tre anni le aziende hanno stimato una carenza di esperti del mondo digitale di 176 mila lavoratori. Il salto tra la formazione e il mondo del lavoro anche per questi profili qualificati è ancora lontano dall’essere compiuto. Il livello di copertura delle competenze (definite sulla base del sistema europeo e-Competence Framework) varia dal 73% delle aziende Ict, percentuale che appare scontata visto l’alta specializzazione del settore, al 67% delle società in house delle Regioni e Province autonome. Per scendere ancora al 48% delle aziende utenti, fino al 41% nella p.a. centrale e al 37% nella p.a. locale. Per questo occorre puntare sul mondo della scuola, a partire dagli istituti di formazione tecnica superiore (gli Ifts del settore digitale) che necessitano di una nuova normativa e il rilascio di una piattaforma nazionale dei contenuti didattici digitali. Una piattaforma, in ambiente cloud collaborativo e con standard aperti, coordinata dal Miur dove editori e insegnanti possano scaricare liberamente i contenuti.
Il rapporto chiede anche l’introduzione di innovativi percorsi di formazione accademici e la promozione di una forma di tutoraggio da parte delle stesse aziende di attività extra curricolari. La richiesta al Miur è di un tavolo congiunto con le associazioni che fanno parte dell’Osservatorio digitale e la formazione di almeno un insegnate che diventi un «mentore digitale» per ogni istituto (per ogni questione legata al cyberbullismo e alla privacy on line). Insomma creare le condizioni per un «ecosistema collaborativo» delle competenze digitali nato dalla collaborazione attiva di tutti gli attori sociali coinvolti. Il Miur, da parte sua, ha già annunciato l’emanazione a giorni di un nuovo bando di 4 milioni di euro per la formazione digitale, che si affianca al bando già aperto per la creazione di laboratori didattici sul territorio. Perché occorre prendere atto che ormai la formazione digitale interna è costituita da una media di 6,2 giornate l’anno nelle imprese Ict, 4 nella p.a. e solo 3 nelle aziende utenti. Questo significa che le aziende hanno bisogno urgente di profili già formati perché non hanno più il tempo e le risorse da dedicarvi.
© Riproduzione riservata