La Popolare di Milano vuole giocare d’anticipo sui tempi della riforma aggregando altri istituti, come Banco e Creval, per avvicinarsi a Intesa e Unicredit. Ma la solita governance potrebbe mettersi di traverso
di Luca Gualtieri
L’idea, che a suo tempo fu già dell’ex presidente Roberto Mazzotta, è stata rilanciata dall’attuale consigliere delegato di Bpm , Giuseppe Castagna: «L’interesse di Bpm è di costituire un polo aggregante insieme a tutti quelli che sposano questo progetto. Credo che il Paese abbia bisogno di poli importanti, perché ci sono solo due banche grandi», commentava il banchiere qualche giorno fa lasciando intendere che, per la sua posizione strategica all’interno dello scacchiere nazionale, proprio Piazza Meda potrebbe fare da apripista di un progetto di questo genere.
Bpm d’altra parte una campagna di fusioni e acquisizioni è praticamente una scelta obbligata. Non soltanto perché un’aggregazione potrebbe migliorare i già eccellenti risultati economici della banca con sinergie su costi amministrativi e personale ma anche perché, nel panorama delle grandi popolari, Piazza Meda appare oggi come un vaso di terracotta tra vasi di ferro. Dopo essere rimasto a bocca asciutta nel periodo delle grandi fusioni, oggi il gruppo ha dimensioni alquanto inferiori a quelle dei due big delle popolari (Ubi e Banco Popolare ) sia in termini di capitalizzazione che di attivo di bilancio. A ciò si aggiunge che nella compagine sociale (controllata per oltre il 40% da investitori istituzionali e presidiata dall’enigmatico Raffaele Mincione con il suo veicolo Time&Life) non si vedono grandi azionisti in grado di coalizzarsi per dare vita a un patto di sindacato dopo la trasformazione in spa. Altri istituti per esempio possono contare su uno zoccolo di fondazioni, grandi imprenditori del territorio o banche «amiche»; sotto questo aspetto invece la popolare di Piazza Meda rischia di trovarsi pericolosamente disarmata. Circostanza che fa temere incursioni da parte di investitori italiani o stranieri una volta completata la trasformazione. Del resto come dubitare che il forziere della città più ricca d’Italia faccia gola a molti? Nelle ultime settimane, ad esempio, si è tornato a parlare di mire francesi su Piazza Meda, un’ipotesi non inedita ma oggi certamente favorita dalla congiuntura politica. La risposta dei vertici di Bpm è chiara: aggregare la banca con una o più popolari per dar vita al terzo polo nazionale del credito. Una risposta che manderebbe in soffitta i progetti su Banca Carige per puntare dritto su quello che negli ultimi due anni è stato il fidanzato ufficiale di Bpm , il Banco Popolare , e magari coinvolgere poi nella nuova superbanca cooperativa altri istituti minori come il Credito Valtellinese o Banca Etruria . E c’è di più. «Qualora questo terzo polo prendesse forma, quale autorità potrebbe imporgli di abbandonare la forma cooperativa per trasformarsi in società per azioni? Chi si assumerebbe la responsabilità di ritirare la licenza bancaria alla terza banca del Paese soltanto perché ha democraticamente scelto di mantenere il modello mutualistico?», si confida un top manager del mondo delle banche cooperative. Che non si tratti solo di una provocazione lo dimostra l’entusiasmo con cui molti banchieri hanno sposato a scatola chiusa la tesi della superpopolare. «Si sa che, in questi casi più che mai, la miglior difesa è l’attacco».
Se un’integrazione potrebbe insomma essere la destinazione finale di Piazza Meda, è comprensibile che ai piani alti della popolare possa esserci divergenza di vedute su come arrivarci. Oggi la redazione dei progetti di fusione è materia di stretta competenza del consiglio di gestione, con qualche cruccio da parte di quello di sorveglianza che punta da tempo a un coinvolgimento più diretto nelle strategie della banca. Un principio in linea di massima condiviso dal presidente Piero Giarda e dal suo ex antagonista Piero Lonardi, storico rappresentante dei soci non dipendenti. Per avvalorare questo principio ci si appella alla recente circolare 285 della Banca d’Italia, che concede poteri di supervisione strategica al cds e che avrebbe dovuto essere recepita con la riforma statutaria di aprile.
La materia però, è assai scivolosa, come sanno bene gli amministratori della banca. Il consiglio di sorveglianza infatti non può proporre in sede ufficiale modifiche allo statuto, a meno di non incorrere in salate multe della Vigilanza già recapitate in passato ai consiglieri Maurizio Cavallari, Ruggero Cafari Panico ed Enrico Castoldi. In aggiunta, sembra che via Nazionale non gradisca affatto l’ipotesi di una riforma statutaria della cooperativa prima della trasformazione in spa, specie se volta ad ammorbidire il rigido sistema duale imposto nel 2011 a Bpm . In terzo luogo i sindacati, che solo 15 mesi fa sono stati i grandi elettori del consiglio di sorveglianza, avrebbero scelto di non immischiarsi nella vicenda e di rimettersi agli eventi. I due incontri che hanno avuto con Giarda giovedì 5 e mercoledì 25 febbraio vengono descritti come «interlocutori». Partita chiusa quindi? Forse, anche se non si possono escludere sorprese da qui a sabato 11 aprile. Le vicende di Bpm , si sa, non sono mai state avare di colpi di scena, specialmente quando sono in gioco questioni di potere o, più banalmente, di poltrone. E oggi, con una fusione e una trasformazione in spa alle porte, di poltrone in gioco potrebbero essercene parecchie. (riproduzione riservata)