di Roberta Castellarin e Paola Valentini
I fondi pensione studiano nuove formule per far fronte a un mondo a tassi zero (o sotto zero) in cui per i gestori previdenziali diventa sempre più complicato garantire ai loro iscritti adeguati assegni integrativi della pensione pubblica, che è destinata a essere sempre più magra. Un caso è rappresentato dai comparti italiani che finora sono riusciti a garantire ai lavoratori iscritti rendimenti soddisfacenti. Nel 2014 i fondi negoziali, per esempio, hanno registrato una performance media netta del 6,9% contro la rivalutazione dell’1,33% del Tfr in azienda. E i dati dei fondi pensione aperti, fermi al 30 settembre, indicano un rendimento del 5,9%.
Tali brillanti risultati sono stati sostenuti anche dalla discesa dello spread, di cui hanno beneficiato i titoli nel portafoglio dei comparti previdenziali italiani, da sempre molto esposti al settore obbligazionario. Ma oggi, con i rendimenti delle obbligazioni scesi ai minimi, sarà sempre più difficile replicare queste performance nel reddito fisso. D’altra parte un eccessivo aumento della quota azionaria potrebbe esporre i portafogli a rischi di volatilità che mal si conciliano con gli obiettivi previdenziali. Ecco perché i fondi pensione vanno a caccia di strumenti che possano aiutare a stabilizzare i rendimenti. E una mano in questo senso arriva dal nuovo decreto del ministero dell’Economia sui criteri degli investimenti dei fondi pensione (il 166/2014) che entrerà in vigore nel maggio del 2016 e che sostituirà il vecchio decreto 703 del lontano 1996 dando più ampie possibilità di manovra sul fronte degli asset alternativi, come fondi di private equity, fondi hedge e infrastrutture. Va sottolineato che un maggiore coinvolgimento di investitori istituzionali come i fondi pensione nell’economia reale è importante in una fase come l’attuale, in cui lo Stato ha risorse limitate. Il tutto però a patto di operare a tutela degli iscritti. «I mercati finanziari sono volatili ma, visti i bassi livelli dei tassi di interesse, è necessario accettare un rischio maggiore rispetto al passato per conseguire rendimenti soddisfacenti; ciò impone scelte dinamiche di investimento che vanno gestite e monitorate costantemente», spiega Gian Paolo Ruggiero, direttore dell’ufficio del Tesoro che si occupa tra le altre cose di regolamentazione nel campo della previdenza complementare. «La sfida per i fondi pensione e per i loro aderenti è di non facile attuazione ed è relativa al conseguimento di una rendita adeguata per il lavoratore, minimizzando il rischio di investimento cui viene esposto», avverte Ruggiero. E proprio per incentivare il ruolo di investitori istituzionali dei fondi pensione nell’economia reale la legge di Stabilità 2015 introduce alcune agevolazioni fiscali. È stato infatti previsto un credito di imposta del 9%, che compenserà (dal 2016) l’incremento dall’11 al 20% della tassazione dei rendimenti degli strumenti di previdenza integrativa, per quei fondi pensione che realizzeranno investimenti a medio-lungo termine nei settori che verranno individuati con uno specifico decreto del ministero dell’Economia. Il provvedimento vale, con aliquota del 6%, anche per le casse previdenziali (che vedono il prelievo fiscale sui rendimenti salire al 26%).
Non a caso le opportunità d’investimento del risparmio previdenziale nei progetti infrastrutturali saranno al centro di un incontro sui prodotti alternativi organizzato da Assoprevidenza per l’11 febbraio a Roma. «Il Seminario intende focalizzare le opportunità di investimento nel settore delle energie rinnovabili, fornendo spunti e riflessioni agli operatori del mondo previdenziale, chiamati a cimentarsi anche con una nuova prospettiva tributaria connessa alla tipologia degli impieghi patrimoniali», spiega Sergio Corbello, presidente di Assoprevidenza. «I rendimenti degli investimenti previdenziali nelle infrastrutture godranno infatti di un’aliquota fiscale di favore».
Alcuni progetti iniziano già a decollare. Arpinge, società di investimenti in infrastrutture costituita dagli enti di previdenza di ingegneri e architetti (Inarcassa), geometri (Cipag) e periti industriali (Eppi), ha varato il finanziamento dei primi cinque programmi per un impegno diretto di 22 milioni di euro che è destinato ad attivare ulteriori investimenti da parte dei partner e del credito bancario. Tutti gli interventi puntano a sbloccare cantieri fermi per carenza di finanza per difficoltà dei proprietari.
Intanto una ricerca condotta su 134 top manager di fondi pensione a livello globale dall’Economist Intelligence Unit per State Street Corporation rivela che nel corso dei prossimi tre anni il 77% dei fondi pensione interpellati si aspetta un aumento della propria propensione al rischio per far fronte alle passività a lungo termine e per ottimizzare i ritorni per gli aderenti in un contesto di tassi bassi. E l’intenzione è accrescere la presenza in portafoglio di asset class alternative. Dallo studio emerge che circa il 60% vuole aumentare l’esposizione al private equity, il 45% al settore immobiliare e il 39% alle infrastrutture. «Attualmente i fondi pensione sono molto sotto pressione, in quanto con l’aumento della volatilità sui mercati si trovano di fronte a passività impegnative e complesse», spiega Oliver Berger, responsabile delle iniziative di mercato strategiche per Europa, Medio Oriente e Africa di State Street. «Per ottenere i rendimenti di cui hanno bisogno devono assumere maggiori rischi e ora sono più che mai pronti a farlo». Intanto i comparti di previdenza complementare si attrezzano anche per trovare strade che permettano di aumentare le risorse per compensare i costi. A partire dal prestito titoli, che è stato oggetto nei giorni scorsi di un intervento della Covip (si veda articolo a pagina 39) in seguito alla richiesta di un fondo pensione di poter effettuare tale operazione per coprire le spese amministrative. (riproduzione riservata)