Come richiesto più volte dall’Antitrust, oltre al controllo di diritto sarà vietato anche quello di fatto sugli istituti. Stretta sull’interlocking directorate: multe fino al 4% dei ricavi in caso di inadempienze
di Luca Gualtieri e Luisa Leone
Il governo torna alla carica sulle fondazioni bancarie. Nelle ultime bozze del disegno di legge sulla concorrenza, che dovrebbe essere esaminato oggi in Consiglio dei ministri, trova posto infatti anche la norma per rendere più incisiva la separazione tra banche e fondazioni bancarie. L’obiettivo è impedire, oltre al controllo di diritto, anche quello di fatto, esercitato da più fondazioni congiuntamente o insieme ad altri azionisti. Per farlo il ddl si limita a prevedere che dal 1° gennaio 2016 la nozione di controllo prevista dall’articolo 6 del decreto legislativo 153 del 1999 (quello sulla disciplina civilistica e fiscale delle fondazioni) venga ampliata anche ai casi previsti «dall’articolo 7 della legge 10 ottobre 1990 numero 287 e successive modificazioni», ovvero la legge sulla concorrenza che ha istituto anche l’autorità Antitrust. Il tutto sotto il controllo proprio dell’Authority, chiamata a vigilare sull’applicazione delle nuove norme.
Insomma, se le disposizioni sulle fondazioni resisteranno all’ultima scrematura, visto che ieri pomeriggio erano ancora in corso incontri tecnici a Palazzo Chigi, certamente sarà un passo avanti verso la separazione, ma a bocce ferme è difficile immaginare la reale portata del provvedimento. Nelle cronache finanziarie di questi anni il rapporto incestuoso tra banche e fondazioni significa soprattutto due nomi: Montepaschi e Carige . Solo un anno fa il legame tra Ente Mps e la sua conferitaria sembrava destinato a spezzarsi sotto il peso di 350 milioni di debiti. Palazzo Sansedoni ha infatti dovuto liquidare gran parte della partecipazione, precipitando così al 2,5% dell’istituto. Oggi però, in forza di un patto di sindacato stretto con Fintech e Btg Pactual, quello strapuntino rimane una quota strategica che permette alla fondazione di designare un terzo del cda e il presidente. Discorso analogo per la Fondazione Carige , che in due anni ha liquidato il 20% della quota nella conferitaria e che si prepara oggi a una nuova diluizione. Non è chiaro se all’orizzonte ci sia davvero un’uscita definitiva, ma è certo che oggi l’ente ha ancora un peso determinante nel cda della banca, dove esprime quattro consiglieri su dodici. Più complessa è la situazione per i due big del credito italiano: Intesa e Unicredit . Nel capitale della Ca’ de Sass ci sono quattro fondazioni sopra il 2%: Compagnia di San Paolo (9,9%), Cariplo (4,68%), Cariparo (4,18%) e Cr Firenze (3,38%), cui va aggiunta Carisbo che si troverebbe poco sotto al 2%. Anche se nell’ultima assemblea gli enti hanno espresso complessivamente 17 consiglieri di sorveglianza su 19, è difficile dimostrare il controllo di fatto visto che non ci sono mai stati patti né di voto, né di blocco. Lo stesso discorso vale per Unicredit , dove Cariverona (3,53%), il tandem Cr Modena-Fondazione del Monte di Bologna e Ravenna (2,99% attraverso Carimonte) e Crt (2,5%), hanno presentato una lista unitaria presentata che si è aggiudicata la larghissima maggioranza del board. Ma come nel caso di Intesa non è in piedi alcun patto parasociale che permetta di ravvisare un controllo effettivo.
Tutto da valutare quindi l’effettivo raggio d’azione de ddl (che contiene anche norme su assicurazioni, le tlc, farmacie, eccetera), che però prevede anche un rafforzamento delle disposizioni relative ai requisiti di onorabilità e professionalità degli organi di governo delle fondazioni e sulla incompatibilità di incarichi in più banche concorrenti. Le fondazioni hanno tre mesi di tempo per adeguarsi, pena «una sanzione compresa tra l’1 e il 4% del fatturato dell’ultimo anno». (riproduzione riservata)