Il ministro Poletti: in primavera vedremo gli effetti del Jobs Act e della Garanzia Giovani. Le pensioni? Penso all’autoprestito con formule di maggiore flessibilità in uscita. E arriverà l’atteso documento arancione

 

di Carla Signorile Class Cnbc 

Arriveranno in primavera i frutti del Jobs Act e dell’iniziativa Garanzia Giovani. Ne è convinto il ministro del Lavoro, Giuliano Poletti, che si prepara a lanciare un’offensiva contro la precarietà lavorativa dei giovani. Nell’intervista alla trasmissione televisiva di Class Cnbc I vostri soldi, la prima dedicata alla finanza personale, il ministro svela le prossime mosse, a cominciare dal 20 febbraio quando varerà il disboscamento dei contratti precari.

Domanda. Ministro, quando vedremo i primi effetti della Garanzia Giovani e del Jobs Act sul tasso di disoccupazione giovanile?

Risposta. Ad aprile, maggio e giugno, ovvero nel secondo trimestre di quest’anno. Solo allora entreranno pienamente a regime gli interventi che abbiamo previsto nella legge di stabilità con il bonus occupazionale.

D. Perché è ottimista?

R. In questi giorni Unicredit ha dichiarato che assumerà 1.500 giovani. Poche settimane fa l’aveva già fatto laFiat, lo ha detto Telecom, quindi cominciamo ad avere testimonianze importanti. Sull’iniziativa Garanzia Giovani abbiamo già 400 mila ragazzi che si sono registrati, ma stiamo facendo uno sforzo ulteriore.

D. Quale?

R. Facciamo in modo che sia possibile sommare il bonus occupazionale previsto dalla Garanzia Giovani a quello previsto dalla Legge di stabilità. Quindi tra qualche mese i numeri si vedranno eccome.

D. Intanto tra pochi giorni, il 20 febbraio, varerete il Codice dei contratti. 
Daremo l’addio al contratto a chiamata?

R. Il 20 febbraio presenteremo il decreto attuativo sul riordino dei contratti precari. Elimineremo alcune tipologie di contratto che hanno prodotto precarietà, ristruttureremo le altre in modo che siano pienamente coerenti con la loro missione.

D. Che cosa intende?

R. Se un lavoratore è dipendente deve avere un contratto di lavoro dipendente, se è un lavoratore autonomo vero deve avere un contratto di lavoro da autonomo vero. Faremo in modo che anche questi lavoratori, almeno nella fascia più debole, abbiano tutele adeguate. Questa scelta si affianca alla nostra scelta di promuovere il contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti, sostenuto sul piano economico dalla decontribuzione nei primi tre anni di assunzione. Questi due elementi – nuovo contratto e disboscamento delle tipologie esistenti – sicuramente ci porteranno a un panorama del sistema contrattuale molto più stabile, molto più chiaro.

D. Che cosa risponde a chi la critica di aver creato un profondo solco tra i dipendenti che hanno il vecchio regime, quindi ancora protetti dall’articolo 18, e chi invece verrà assunto dopo il Jobs Act? Potrà durare a lungo questo sistema duale?

R. Solo l’esperienza ci potrà dire se bisogna tornare su questo problema. Queste due tipologie sono compatibili perché è legittimo che chi ha il vecchio contratto lo mantenga. Dall’altro lato, i nuovi assunti che vengono da una situazione di disoccupazione o di contratti precari avranno le tutele crescenti.

D. A proposito di solco, ce n’è un altro che riguarda i pensionati, tra chi va in pensione con le vecchie regole e chi andrà con il nuovo sistema contributivo. La critica principale che vi viene rivolta è quella di non pensare ai pensionati di domani. Dall’innalzamento delle tasse sui fondi pensione al Tfr in busta paga: misure che alleggeriranno ulteriormente le future pensioni

R. Andiamo con ordine. Sul tema della tassazione c’è stata una modifica tra l’avvio della legge di Stabilità e la sua conclusione. È stato introdotto un credito d’imposta per quei fondi che investiranno sull’economia reale italiana. Quindi, è vero che è stata innalzata la tassazione, ma questa tassazione può essere ridotta se i fondi investono sull’economia reale italiana.

D. Basterà?

R. Di certo otteniamo due risultati: un buon rendimento per i fondi e un’economia che cresce di più. Da questo punto di vista il problema è stato affrontato, anche se non risolto completamente.

D. Altra critica da parte dei fondi è che da marzo consentirete di ottenere il Tfr in busta paga. Il rischio è avere di più oggi a fronte di una pensione decisamente più povera tra 20 anni. Sarà chiaro agli italiani?

R. È una facoltà che lasciamo ai cittadini. Il Tfr in busta verrà utilizzato da tutti quegli italiani che in maniera autonoma e consapevole valuteranno che per loro è più utile e opportuno avere subito risorse a disposizione piuttosto che conservarle per il futuro. È un atto che fondamentalmente mette sulle spalle del cittadino la responsabilità di questa decisione. Noi pensiamo che i nostri connazionali abbiano la maturità per compiere questa scelta.

D. Ministro, Lei è sempre stato favorevole a una maggiore flessibilità in uscita dopo la Riforma Fornero del 2011. Che cosa intende in pratica?

R. Innanzitutto con la legge di Stabilità si sono tolte le penalizzazioni per coloro che vanno in pensione in questi anni non avendo ancora raggiunto i requisiti, mentre prima venivano penalizzati. Vogliamo affrontare un grave problema sociale, quello delle persone che arrivano a un’età vicina al pensionamento e magari perdono il posto di lavoro e non riescono, con gli ammortizzatori sociali, a raggiungere la pensione. Questo, a nostro avviso, è un problema socialmente rilevante e l’esigenza è quindi trovare forme di flessibilità, ovvero modalità che consentano a queste persone di arrivare alla pensione.

D. Un’idea è quella dell’autoprestito. Ovvero anticipare una piccola somma per consentire di avere un reddito fino al momento della pensione e poi la restituzione in piccole rate nell’assegno pensionistico. È fattibile?

R. Ci sono molte opzioni e ipotesi in campo, tra cui questa. Fondamentalmente stiamo cercando, da una parte, di rispondere alle esigenze da cui è partita la legge Fornero – che erano quelle di avere un sistema stabile e non avere problemi nel bilancio pubblico – dall’altra coniugarlo con la legittima aspettativa dei cittadini italiani di poter maturare la pensione. Bilanciare le due cose non è semplice, ma è quello che ci apprestiamo a fare e che discuteremo con il nuovo presidente dell’Inps Tito Boeri, non appena sarà insediato.

D. Il problema sono i soldi. Dove li troverete?

R. Il tema dei fondi ce l’abbiamo ben presente, oltre al fatto che dobbiamo rispettare le norme a livello comunitario. Quindi abbiamo bisogno di studiare una forma che, oltre a darci le risorse necessarie, non vada a impattare sui parametri europei che noi ci auguriamo siano sempre più flessibili e aperti e ci consentano di intervenire in particolare sul versante degli investimenti.

D. A proposito dei pensionati, quando arriverà la busta arancione?

R. L’Inps ha avviato una fase di sperimentazione e sta monitorando gli esiti per avere uno strumento il più efficace possibile. Una cosa dev’essere chiara per tutti: l’Inps lo farà nei prossimi mesi, comincerà a farlo, ma noi dobbiamo sapere che, più la data della pensione è lontana, più il rischio di avere una valutazione non equa del risultato è alto. L’assegno pensionistico è influenzato da alcuni parametri, come il pil e sapere quale sarà il prodotto interno lordo del nostro Paese tra 10, 20 e 30 anni è problematico.

D. Quindi, addio alla busta arancione?

R. Nient’affatto. Io credo comunque che sia giusto fare un lavoro di proiezione di questo genere perché rende i cittadini consapevoli del loro futuro e quindi saranno liberi di scegliere. Potranno decidere, ad esempio, se mettere una parte dei loro risparmi nei fondi pensione o comunque in forme assicurative tali da garantire una migliore pensione.

D. Entro l’anno può prendere anche questo impegno, ministro?

R. Direi proprio di sì anche se penso che si partirà per categorie perché, naturalmente, ci vuole un po’ di tempo per metterlo a regime. Sicuramente la partenza ci sarà.

D. In questi giorni avete lanciato l’iniziativa #diamociunamano. Di cosa si tratta?

R. Questo è un progetto cui stiamo lavorando da tempo e che risponde a un’idea generale, ovvero: «Nessun italiano deve stare a casa ad aspettare». Noi siamo alla ricerca di una società coesa, impegnata e responsabile a partire da ogni singolo cittadino. In questo caso abbiamo scelto di promuovere un progetto secondo cui, chi ha avuto un sostegno – che non è solo la cassa integrazione, ma anche un aiuto dal proprio comune per pagare l’affitto – può essere interpellato o può offrirsi come volontario per andare a dare una mano alla propria comunità.

D. Che cosa bisogna fare in pratica?

R. Si deve passare attraverso un’Associazione di volontariato, che organizzi il lavoro. Il Comune o l’ente locale stabilirà se quel progetto è utile o meno alla comunità. Noi, come Stato, abbiamo deciso di pagare l’assicurazione ai volontari. Quindi, chi si trova in queste condizioni e vuole dare una mano, può rivolgersi o al proprio comune o alla propria associazione di volontariato e dire: «Io sono qui, sono disponibile». Poi, nel momento in cui parte il progetto, noi lo assicuriamo. Se ci diamo una mano tutti insieme l’Italia ripartirà e ripartirà molto bene. (riproduzione riservata)

ha collaborato Simone Cerroni