Con specifico riferimento all’azione di responsabilità per cosa in custodia, l’art. 2051 cod. civ. non dispensa il danneggiato dall’onere di provare il nesso causale tra cosa in custodia e danno, ossia di dimostrare che l’evento si è prodotto come conseguenza normale della particolare condizione, potenzialmente lesiva, posseduta dalla cosa.
In particolare, la responsabilità per i danni cagionati da cose in custodia è oggettivamente configurabile qualora la cosa custodita sia di per sé idonea a sprigionare un’energia o una dinamica interna alla sua struttura, tale da provare il danno (scoppio di una caldaia, esalazioni venefiche da un manufatto, ecc.).
Qualora per contro si tratti di cosa di per sé statica e inerte e richieda che l’agire umano, e in particolare quello del danneggiato, si unisca al modo di essere della cosa, per la prova del nesso causale occorre dimostrare che lo stato dei luoghi presenti peculiarità tali da renderne potenzialmente dannosa la normale utilizzazione (buche, ostacoli imprevisti, mancanza di guardrail, incroci non visibili e non segnalati, ecc.).
Ne consegue – anche agli effetti dell’art. 2051 cod. civ. – la correttezza degli elementi traibili dal giudizio medico-legale sulla compatibilità tra la caduta e le lesioni, ben potendo essere diverse e altre rispetto al malfunzionamento dell’impianto di illuminazione le cause della stessa caduta.
Corte di Cassazione, sez. VI Civile – 3, 27 ottobre 2014 n. 22787
Con specifico riferimento all’azione di responsabilità per cosa in custodia, l’art. 2051 cod. civ. non dispensa il danneggiato dall’onere di provare il nesso causale tra cosa in custodia e danno, ossia di dimostrare che l’evento si è prodotto come conseguenza normale della particolare condizione, potenzialmente lesiva, posseduta dalla cosa.
In particolare, la responsabilità per i danni cagionati da cose in custodia è oggettivamente configurabile qualora la cosa custodita sia di per sé idonea a sprigionare un’energia o una dinamica interna alla sua struttura, tale da provare il danno (scoppio di una caldaia, esalazioni venefiche da un manufatto, ecc.).
Qualora per contro si tratti di cosa di per sé statica e inerte e richieda che l’agire umano, e in particolare quello del danneggiato, si unisca al modo di essere della cosa, per la prova del nesso causale occorre dimostrare che lo stato dei luoghi presenti peculiarità tali da renderne potenzialmente dannosa la normale utilizzazione (buche, ostacoli imprevisti, mancanza di guardrail, incroci non visibili e non segnalati, ecc.).
Ne consegue – anche agli effetti dell’art. 2051 cod. civ. – la correttezza degli elementi traibili dal giudizio medico-legale sulla compatibilità tra la caduta e le lesioni, ben potendo essere diverse e altre rispetto al malfunzionamento dell’impianto di illuminazione le cause della stessa caduta.
Corte di Cassazione, sez. VI Civile – 3, 27 ottobre 2014 n. 22787