“A nalisi del modello distributivo di servizi finanziari attraverso il ruolo del promotore finanziario: oltre la crisi del modello di distribuzione bancaria” è il titolo di una ricerca commissionata dall’Anasf all’Università Bocconi. Un team di esperti ha messo a confronto i modelli di business delle reti e delle banche tradizionali, esaminando i bilanci dal 2006 al 2012 di sette reti specializzate, 14 banche e sei gruppi bancari. Cosa emerge da questa analisi, tenendo ben presente, come ha sottolineato Paola Musile Tanzi, la docente Sda Bocconi chiamata a illustrare l’indagine, che “non esiste un unico modello di business, ogni modello di business è unico”? Le reti specializzate sono maggiormente efficienti, la diversa struttura operativa consente loro un più basso rapporto costi / ricavi, e hanno retto meglio l’impatto della crisi finanziaria, in termini di redditività del capitale (Roe) e di raccolta. Quella indiretta è calata solo negli anni critici, il 2008 e il 2011, ed è cresciuta di quasi il 14% nel 2012, mentre tra le banche, pur con sostanziali differenze, è in calo da due anni. La ricerca conferma, poi, una sostanziale differenza nella composizione dei ricavi: nelle reti le commissioni nette, dato 2012, rappresentano in media oltre il 68% del margine di intermediazione, quello che può essere considerato il totale dei ricavi di una banca, la media si ferma al 33% per le banche. È però interessante notare che per queste
ultime il dato appare in crescita, frutto evidentemente della scelta “meno credito, più servizi di investimento”, mentre nelle reti, al contrario, è in calo. In ogni caso sono ancora le reti a spingere maggiormente quelli che la Bocconi definisce i servizi ad alto valore aggiunto, ossia risparmio gestito, servizi di consulenza e prodotti assicurativi. Quasi due terzi del totale delle commissioni attive deriva da questi servizi, nelle banche in media non si va oltre il 13%; si conferma difficile far pagare l’attività di consulenza, contribuisce solo per l’1% delle commissioni totale incassate dalle reti e appena per lo 0,34% nel caso delle banche. La maggior enfasi su prodotti e servizi ad alto valore aggiunto paga in termini di redditività? In termini di Roe, il quadro, pur con qualche distinguo, si presenta “impietoso”, come scrivono gli estensori della ricerca, per il modello distributivo bancario, fortemente penalizzato da rettifiche su crediti e svalutazioni dei portafogli titoli. La valutazione cambia se si misura il rapporto tra margine da servizi (le commissioni nette) e raccolta globale, in altre parole, se si calcola quanto rende la raccolta: un po’ a sorpresa, le reti specializzate presentano una redditività media che non si discosta sostanzialmente da quella delle banche. C’è di più. Le banche presentano una redditività della raccolta globale addirittura doppia rispetto alle reti, se si considera non più le sole commissioni nette, ma il margine di intermediazione. “Nel modello distributivo delle banche tradizionali si intermedia rischio e il premio al rischio si riflette sulla redditività complessiva della raccolta effettuata, il modello distributivo delle reti trova una sorta di limite di redditività nella sua specializzazione”, si legge nella ricerca. Un risultato che deriva quindi da una precisa scelta strategica, il concentrarsi essenzialmente sui servizi di investimento, scelta che in Bocconi ritengono coerente in termini di modello di business. Quali conclusioni trarre da questa indagine? Molte sono le questioni aperte. Secondo gli autori della ricerca, le reti specializzate si trovano a dover compiere una scelta di campo su diversi temi. In primo luogo definire quanto valore aggiunto erogare e come, ovvero attraverso quali servizi, quali tecnologie, quali competenze e i segnali portano verso un modello di business orientato al wealth management. Un secondo aspetto riguarda se e in che misura “produrre” in casa prodotti e servizi “core” ad alto valore aggiunto, rispetto alla scelta di commercializzare prodotti di terzi, l’approccio ad “architettura aperta”. Qui la ricerca sostiene che i segnali mettono in evidenza i benefici della internalizzazione della produzione, a fronte delle problematiche legate alla scelta di esternalizzazione. L’ultimo punto è relativo alla redditività. Come si è visto, la specializzazione in qualche maniera finisce con il creare una sorta di vincolo, di limite superiore, alla capacità reddituale delle reti. Occorre valutare, quindi, se esiste una convenienza a diversificare e la risposta imporrà un’attenta valutazione del rapporto tra i maggiori rischi di mercato e di credito che si andrebbero ad assumere e il rendimento. (m.man.) Le reti specializzate sono maggiormente efficienti, la diversa struttura operativa consente loro un più basso rapporto tra costi e ricavi Milano Le reti specializzate si trovano a dover compiere una scelta di campo su diversi temi