di Giuseppe Di Vittorio
Il bilancio della Tobin Tax è disastroso. In pratica ha scatenato una fuga dai titoli italiani. Nei dieci mesi di applicazione della tassa sulle transazioni finanziarie gli scambi sui titoli italiani del Ftse Mib sono stati 560 miliardi di euro. Nello stesso periodo dell’anno precedente, il controvalore è stato 744 miliardi. All’appello mancano 184 miliardi di euro, il 25%. MF-Milano Finanza ha tenuto conto non solo delle transazioni su Piazza Affari ma anche di quelle gestite da tutte le piattaforme di negoziazione, nazionali ed estere. La Tobin Tax infatti si paga su qualsiasi operazione in titoli italiani a prescindere dal luogo e dalla residenza degli operatori. Le esenzioni riguardano solo le operazioni intraday, i market maker e quelle su titoli emessi da società che capitalizzano in Borsa meno di 500 milioni. Ma se si guarda ai movimenti sulle piazze non regolamentate, le più colpite dall’imposta, il crollo è stato del 77%, dai 286 miliardi del 2012 ai soli 65 del 2013. Le operazioni fuori dai mercati regolamentati sono colpite con un’aliquota dello 0,22% (0,2% a regime da quest’anno) a fronte dello 0,12% dei mercati regolamentati (0,1% da quest’anno). Per alcune agenzie governative l’85% degli scambi sui mercati Otc è fatto da investitori esteri. La fuga dai titoli tricolore è quindi da attribuire soprattutto a questi ultimi. Sugli investitori esteri grava non solo il peso della tassazione ma tutti gli oneri burocratici connessi. Basti pensare che per pagare la tassa i broker esteri devono fare la fila ad ambasciate e consolati italiani per il codice fiscale. I dati consuntivi per il 2013 confermano quindi quanto prospettato dai dati tendenziali usciti nel 2013. I numeri potevano essere anche peggiori. Infatti il principale benchmark di Piazza Affari è cresciuto nel 2013 dell’8%, altrimenti la flessione sarebbe stata ancora più pesante. Ma il calo è evidente se si guarda al numero delle transazioni. Il 2013 è stato chiuso, sempre sulle principali azioni, con 55 milioni di operazioni, nel 2012 furono 57 milioni. Il calo è stato quindi del 3,5% (2 milioni di trade).
La conseguenza è la scomparsa del gettito atteso. Il primo nella migliore delle ipotesi non supererà i 300 milioni di euro, nella peggiore circa 200 milioni. Il gettito di fonte estera è modesto ma di dubbia provenienza. In tal senso anticipazioni ci sono già. Come risulta dal bollettino delle entrate tributarie del mese di dicembre, relativo agli incassi da marzo a ottobre sono stati incassati 159 milioni di euro. I primi pagamenti della Tobin Tax per i mesi precedenti sono stati fatti proprio il 16 ottobre, ma le aliquote 2013, visto che il tempo di applicazione è ridotto, sono più alte. Rimangono quindi da incassare altri due mesi, quindi tenendo conto di qualche ritardatario e che il valore dei titoli nel frattempo è ancora salito, non dovrebbe superare 200 milioni di euro. Cifra molto distante dal miliardo atteso dal governo. Nel bilancio dello Stato c’è quindi un buco più largo di 800 milioni. Nel computo infatti va tenuto conto non solo del mancato gettito della Tobin ma anche delle mancate entrate da altre imposte. I minori scambi hanno infatti ricadute negative su altre imposte. Conseguenza rimarcata anche dalla Corte dei Conti. Come segnalato dalla magistratura contabile a maggio 2013, non si è tenuto conto a sufficienza delle riduzioni di entrate che un’imposta come questa provoca su altre voci del bilancio statale.
E il futuro cosa ci riserva? Nella precedente esperienza in Svezia a fronte di un gettito irrisorio il legislatore ha reagito, aumentando l’aliquota. Le cose peggiorarono a tal punto che in seguito l’imposta fu abolita. In Italia, un gruppo ridotto di parlamentari di varia appartenenza politica, guidato dal presidente della Commissione Bilancio Francesco Boccia, ha cercato di abbassare l’aliquota e allargare la base imponibile. Il governo Letta ha respinto con decisione l’iniziativa. I promotori però pensano di riproporre lo schema, magari cercando consensi proprio nel mondo finanziario attratto dal possibile abbattimento dell’aliquota su alcuni prodotti. L’ad di Intermonte, Alessandro Valeri, risulta essere un consulente di questo gruppo di parlamentari. Il broker ha dimezzato la quota di mercato sugli scambi azionari in Italia rispetto al 2012, con tutta probabilità per colpa della Tobin Tax. L’idea del gruppo di parlamentari era portare l’imposta allo 0,01% del valore della transazione ma mettendo dentro praticamente tutto. Le più colpite da questo disegno sarebbero state le valute, i derivati su indici e il trading intraday. Per i cambi e i derivati su indici i costi fiscali aumenterebbero gli oneri di transazione dal 25 al 120% secondo lo strumento finanziario. (riproduzione riservata)