Dottrina

Punti di riflessione sulla natura giuridica ed applicabilità delle normative

Autore: Massimo Caiafa
ASSINEWS 250 – febbraio 2014

L’assicurazione privata contro gli infortuni è il contratto, con caratteristiche di socialità e solidarietà anche di tipo previdenziale, attualmente molto diffuso, in base al quale l’assicuratore – dietro pagamento di un premio – si impegna a garantire all’assicurato, entro limiti convenzionalmente stabiliti, l’indennizzo per le conseguenze di un evento fortuito, violento ed esterno alla stregua della definizione delle polizze tipo.
L’infortunio viene considerato come l’evento dovuto ad una causa fortuita, violenta ed esterna che produca lesioni fisiche obbiettivamente constatabili e che abbiano per conseguenza l’invalidità permanente, l’inabilità temporanea ovvero la morte.
In relazione ai rischi professionali, soccorre l’art. 1926 c.c. che determina la base essenziale per la valutazione del rischio nell’attività professionale esercitata in relazione al grado di pericolosità che essa presenta laddove il cambio dell’attività professionale, a norma degli artt. 1897 e 1898 del codice civile, può costituire una diminuzione o un aggravamento del rischio secondo i principii assicurativi consolidati mentre, nella pratica, le nuove polizze prevedono che se l’infortunio accade nell’esercizio di una attività professionale diversa da quella indicata in polizza e tale attività non risulta più pericolosa di quella assicurata, la garanzia è pienamente operante.
Le polizze assicurative possono essere individuali o cumulative, quest’ultima tipologia sempre più diffusa, in relazione allo status di appartenenza ad un nucleo familiare, ad una associazione con determinate finalità, anche di svago o ad un gruppo di prestatori di opere nell’ambito di una impresa, a club e ad altre situazioni ritenute idonee per la stipula di tale contrattazione, molte volte imposte da un contratto di lavoro laddove la sfera di applicazione è aperta anche ad atti di liberalità (spesso queste polizze vengono stipulate all’insaputa del beneficiario, circostanza di incidente rilievo per profili e conseguenze giuridiche che saranno esaminate in seguito per la configurazione del contratto nel genus “ danni” o “vita”).

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L’assicurazione privata contro gli infortuni non è autonomamente disciplinata dal codice civile nelle disposizioni generali sull’assicurazione (sez. I capo 20) né nelle trattazione dell’assicurazione contro i danni (sezione II capo 20 del codice civile) né, infine, in quella sulla vita (sezione III capo 20) dove non vi è alcun richiamo all’infortunio quale evento garantito ond’è che la dottrina e la giurisprudenza – quest’ultima anche dopo la nota sentenza a sezioni unite n. 5119 del 10.4.2002 – alimentano dispute sulla natura, sull’inquadramento della polizza tra le due tipologie cardine dell’impianto assicurativo (polizza danni e polizza vita), dispute non soltanto teoriche in quanto comportano notevoli conseguenze a seconda dell’applicabilità delle normative.

La sua collocazione all’interno del ramo danni o del ramo vita, – quaestio che si ravviva con puntuale periodicità – è sorretta dalle osservazioni che seguono, a seconda che si consideri rientrante nella prima o nella seconda tipologia o nella configurazione di un tertium genus. A favore dell’inquadramento nella polizza danni soccorre una recente dottrina, in perfetta linea con recenti decisioni della Suprema Corte, recepite in parte dalla indicata sentenza delle Sezioni unite, che poggia sulle seguenti considerazioni:
1. L’art. 1882 c.c. ha carattere generale ed ampia portata, in quanto il concetto di danno prodotto da un sinistro ricomprende al suo interno sia il danno a cose che il danno a persone mentre alcune disposizione dettate per l’assicurazione contro i danni sono indubbiamente applicabili alla tipologia contrattuale della polizza infortuni (ad esempio, secondo questa corrente di pensiero, gli artt. 1892, 1901 c.c. in tema di mancato pagamento del premio, 1913 e 1915 c.c., termine per la denuncia del sinistro).
Non si spiegherebbe – in tale ottica – perché un infortunio che causa un danno e, nella specie, un danno alla persona, non possa essere considerato un “sinistro”.
2. La necessità di indennizzare in forma completa l’assicurato del danno subito a seguito del verificarsi del sinistro integra una finalità che non troverebbe ostacoli ma che ben si inserisce, nel principio indennitario, previsto ed espresso dall’art. 1905 c.c. secondo il quale la verificazione dell’evento non può e non deve concedere all’assicurato la possibilità di locupletazioni.
In effetti, una finalità configurata – come quella della responsabilità civile basata sulla colpa – a indennizzare l’assicurato nei limiti della perdita patrimoniale diretta ad un risarcimento totale da inquadrarsi, però, nella economia generale eticamente tutelabile, quindi, nel rispetto del principio indennitario, di cui all’art. 1905 c.c. ribadito dal Legislatore agli artt. 1907 c.c. (sottoassicurazione), 1908 c.c. (valore reale e valore al momento del sinistro), 1909 c.c. (soprassicurazione).
Il danno alla persona può essere valutato in rapporto alla sua menomazione con parametri obbiettivi (tipo guadagno evincibile dalla denuncia dei redditi) e non osta la circostanza che, nella assicurazione infortuni, la misura dell’indennizzo sia predeterminata in polizza, atteso che, anche in materia di assicurazione contro i danni, in relazione alla quale è tipico il principio indennitario, è prevista tale eventualità mediante la c.d. “polizza stimata” (art. 1908 c.c. II comma).
3. La ritenuta e codificata applicabilità dell’art. 1916 c.c. comma IV che estende esplicitamente all’assicurazione contro le disgrazie accidentali il diritto di surrogazione dell’assicuratore allo scopo di impedire il cumulo nello stesso soggetto del diritto al risarcimento verso il terzo responsabile e del diritto all’indennizzo verso l’assicuratore (mera applicazione del principio indennitario contro le disgrazie accidentali secondo una denominazione utilizzata dal legislatore del ‘42).
4. Il codice delle assicurazioni private di cui al D.L. 7.9.2005 n. 209, in vigore dall’1.1.2006, ha inserito esplicitamente i rischi da infortuni (compresi quelli da infortunio sul lavoro e malattie professionali) nel ramo danni.

Tale configurazione comporta determinanti e significative conseguenze e, precisamente:
a) applicabilità dell’art. 1910 c.c. – che ribadisce il principio indennitario – nella parte in cui prevede che, a fronte di più assicurazioni per il medesimo rischio, l’assicurato debba informare ciascuna assicurazione, pena, in caso di dolosa omissione, il mancato pagamento dell’indennità, allo scopo di evitare speculazioni e, quindi, che la causa del contratto venga salvaguardata da comportamenti dolosi dell’assicurato, il quale potrebbe non ostacolare o, addirittura, agevolare l’evento previsto in polizza (chi sostiene questa tesi non si preoccupa delle conseguenze pratiche delle polizze cumulative che – come sarà precisato in seguito – potrebbero restare scoperte, indipendentemente dalla volontà dell’assicurato);
b) l’applicabilità alla polizza infortuni di alcune disposizioni, specificamente detta te per la polizza danni ed in particolare degli artt. 1913 e 1915 c.c.: ad esempio, la disciplina dettata in combinato disposto dagli artt. 1915 c.c. II comma e 1932 c.c., in tema di assicurazione contro i danni, in base alla quale, nonostante diversa previsione contrattuale sfavorevole all’assicurato, il colposo inadempimento di questi all’obbligo di avviso nel termine di cui all’art. 1913 c.c., può determinare solo riduzione dell’indennità, in ragione del pregiudizio sofferto dall’assicuratore e non perdita dell’indennità medesima, trovando applicazione anche in materia di assicurazione contro gli infortuni, quando ricorrano, in tale ipotesi, ragioni ed esigenze analoghe a quelle giustificative di detta limitazione legale degli effetti di una omissione colpevole (già in tal senso e ante litteram: Cass. I sez. 4.3.1978 n. 1078).
Sul punto è da segnalare la sentenza della Suprema Corte, III sez. civ., 13 marzo 2007 n. 5849: “in tema di contratto di assicurazione, a fronte di dichiarazioni inesatte o reticenti dell’assicurato su circostanze relative alla valutazione del rischio, che siano ascrivibili a dolo o colpa grave di quest’ultimo, la norma dell’art. 1892 c.c. da ritenersi applicabile al caso di polizza infortuni ed anche, come nella specie, di “prima salute” conferisce all’assicuratore, nel concorso dell’ulteriore requisito della rilevanza delle dichiarazioni sulla formazione del consenso dell’assicuratore medesimo, sia il rimedio della impugnazione del contratto, previa manifestazione di una volontà in tal senso nel termine di decadenza di tre mesi dalla conoscenza di quel comportamento doloso o gravemente colposo, sia la facoltà, qualora l’evento si verifichi prima della scadenza di detto termine trimestrale ed a maggior ragione prima dell’inizio del suo decorso, di rifiutare il pagamento dell’indennizzo eccependo la causa di annullamento del contratto”.
c) In caso di mancato pagamento del premio, l’applicazione dell’art. 1901 c.c. e non dell’art. 1924 c.c. (Cass. Civ. III sez. 24.5.2006 n. 12353).
d) Le somme dovute dall’assicuratore al contraente o al beneficiario possono essere sottoposte ad azione esecutiva e non godono della impignorabilità, in difformità all’art. 1923 c.c. (Trib. Parma, sentenza n. 1107 del 10.8.2010, per la verità, isolata).
e) Il debito dell’assicuratore verrebbe ad assumere, in tal caso ed in specifica relazione al punto 2), la caratteristica di debito di valore, consentendo all’assicurato di ottenere, oltre alla somma determinata del danno, gli interessi e la rivalutazione (automatica o previa prova rigorosa del maggior danno subito ai sensi dell’art. 1224 c.c. o, addirittura, in cumulo secondo contrastanti orientamenti giurisprudenziali).
f) Non è consentito ignorare che le società propongono le assicurazioni sulla morte per cause naturali offrendo ai clienti opzioni di raddoppio della somma assicurata in caso di morte per infortunio e triplicarla in caso di morte da infortunio per circolazione stradale, circostanza che supporta la configurazione e la ratio nel genus danni perché, altrimenti, non avrebbero senso.

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A favore dell’inquadramento nella polizza vita, persiste un indirizzo collegato ad una dottrina di elevato prestigio (Candian – Polotti di Zumaglia – Santaroni in “Assicurazioni sulla vita e infortuni”, Salandra “Dell’assicurazione” in Commentario al Codice Civile a cura di Scialoja e Branca sub articolo 1920 c.c.) nonché di riconosciuti esperti del settore assicurativo (Mario Dal Cin) la quale poggia sulle seguenti considerazioni:
1) Le tipologie “polizza danni” e “la polizza “infortuni” sono concettualmente diverse, indipendentemente dalla definizione lessicale e vanno tenute distinte nello spirito, nella funzione e nella causa, elementi tipici del contratto. L’assicurazione infortuni ha in comune con l’assicurazione sulla vita, il contenuto e le finalità in quanto entrambe coprono il rischio morte e nessuna differenza si riscontra tra le ipotesi in cui la morte sia prevista come effetto di circostanze de terminate, cioè a seguito di infortuni e di ipotesi in cui sia invece prevista puramente e semplicemente a prescindere dalla causa con l’esclusione di alcuni rischi (guerre, suicidi, duelli).
2) L’impossibilità di valutare il “bene persona” – a differenza della “res” – con parametri tabellari.
Mentre ad un bene “res” si può dare un valore obbiettivo con la conseguenza, in caso di sinistro, dell’applicabilità degli artt. 1905, 1907, 1908 e 1909 c.c., tanto non può verificarsi per la valutazione del “bene persona” che deve essere valutato forfettariamente o convenzionalmente, non essendo possibile stabilire un rapporto obbiettivo o semplicemente tabellare tra la soma assicurata e il valore dell’interesse alla conservazione del bene del danneggiato esposto al rischio, che non può essere oggetto di reintegra.
Per i danni alla persona sussistono numerosi altri interessi collegati all’invalidità con riflessi di tipo psichico e morale non quantizzabili ed è il solo assicurato – a sua discrezione – a poter scegliere la misura dell’indennità da ricevere in occasione dell’evento infortunio, previo pagamento del premio commisurato o da trasmettere ai beneficiari.
Il concetto di “indennità” (che non coincide con il ristoro da fatto illecito) non è collegato al principio della colpa ma soltanto all’evento come fatto oggettivo: donde anche la conseguenza della natura del debito che resta di valuta e non di valore (Suprema Corte Sezione lavoro 2.12.2000 n. 15407: “… con riguardo ad un contratto di assicurazione contro gli infortuni, nel quale viene assicurato un determinato capitale, a fronte della morte, della inabilità permanente o di quella temporanea, la prestazione dell’assicuratore costituisce un debito di valuta e, pertanto, può essere rivalutata soltanto se il creditore dimostri di aver subito un danno maggiore di quello compensato con gli interessi legali, secondo quanto stabilito dall’art. 1224 c.c.”).
3) Lo spirito e l’essenza della polizza infortuni ha la finalità di capitalizzazione del patrimonio e previdenza onde consentire all’assicurato (e ai beneficiari) di ottenere una rendita o un indennizzo, convenzionalmente determinato – non suscettibile di possibilità di riduzioni – al verificarsi di un evento che attiene alla vita umana.
4) A tutela dell’ente assicuratore resta, in ogni caso, la possibilità di valutare e, quindi, accettare o meno, la conclusione del contratto (peraltro dallo stesso ente predisposto), rifiutando una più o meno manifesta esagerazione dell’indennità prevista e, così, elidendo in radice il pericolo di una speculazione.
5) L’inapplicabilità concettuale dell’art.1910 c.c. all’assicurazione infortuni è alquanto sostenibile perché, diversamente opinando, si vanificherebbero le polizze c.d. cumulative, spesso accese da persone diverse dal beneficiario (polizze collegate a conti correnti presso banche e a carte di credito, polizze cumulative per componenti di collegi sindacali, polizze scolastiche adottate dalle amministrazioni regionali, assicurazioni per accordi collettivi, polizze a favore dei dipendenti, polizze per viaggi organizzati, polizze “volo” delle società di linea, etc). Dette polizze – come è ben noto – spesso non vengono comunicate ai beneficiari, i quali, ovviamente, non essendone a conoscenza (perché sovente non ne pagano il premio, in quanto accessorie ad altre garanzie) non sono in condizioni di comunicarle all’ente assicuratore – con il quale è stata stipulata la polizza infortuni, quindi, andrebbe a richiedersi a queste parti un adempimento “ad impossibilia”. Risulta gravemente ingiusta ed aberrante la sanzione di inoperatività della garanzia dell’art. 1910 c.c. comma 2 che postula un atteggiamento psicologico specifico del dolo, certamente incompatibile con la mancata conoscenza dell’esistenza della polizza. Senza contare che per alcune polizze – tipo quella “volo” delle compagnie di linea – vi sarebbe la materiale impossibilità di tempo per ottemperare al comma I dell’art. 1910 c.c.
6) La possibilità, comunque, di richiamare esplicitamente l’art. 1910 c.c. (limitatamen te ai comma uno e due) nel contratto di polizza infortuni non trova limitazione di ordine giuridico sia per il principio dell’autonomia contrattuale sia perché la disposizione non è compresa nell’elencazione dell’art. 1932 c.c. che prevede l’inderogabilità della normativa se non in senso più favorevole all’assicurato.
7) Il principio indennitario, inoltre, andrebbe a cozzare con l’assicurazione infortuni a favore di un terzo che non può che essere disciplinata dall’assicurazione sulla vita (Cass. Civ., Sez. I., n. 3207 dell’1.4.1994).
8) Vi sono alcune norme sull’assicurazione vita (artt. 1920, 1925 e 1927 c.c.) che rilevano una così intima connessione con il particolare congegno tecnico di questo ramo assicurativo da non trovare riscontro in nessun altro (Cass. Civ., III sez., n. 6062 del 18.6.1998).
9) L’Istituto per la funzione assicurativa (IFA) oggi IRSA, espressione diretta dell’ANIA ha, seppur in data non recente, ritenuto che “il principio indennitario” e le norme sulla soprassicurazione e sulla sottoassicurazione si riferiscono alla assicurazione di cose e, quindi, ineriscono al loro valore mentre la persona umana non ha un valore determinabile in base a costi di fabbricazione o a costi di mercato e la relativa convenzione assicurativa non può che essere concordata come quella sulla vita.
10) Sovente nelle polizze infortuni, con l’evidente finalità di evitare dispute interpretative, viene previsto: a) che si operi in deroga all’art. 1910 c.c. (inerente l’assicurazione presso diverse società), esonerando l’assicurato dall’obbligo di dichiarare l’esistenza di altre assicurazioni e consentendo, in pratica, la possibilità di percepire da ogni assicuratore un indennizzo a norma del rispettivo contratto, senza porre la condizione che l’indennità complessivamente percepita non debba superare la reale entità del danno; b) la rinuncia alla rivalsa prevista dall’art. 1916 c.c. (applicazione del principio indennitario).
Le indicate deroghe finiscono per allontanare la configurazione contrattuale della polizza infortuni dal “ramo danni”.

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La Suprema Corte a sezioni unite, con sentenza n.5119 del 10.4.02, di fronte al persistente contrasto e in difetto di una organica disciplina normativa (a parte l’estensione della surrogazione alle assicurazioni contro le disgrazie accidentali previste dall’art. 1916 c.c.), ha deciso di disattendere la classificazione rigida, di cui all’art. 1882 c.c. ma, nel contempo, di rispettare la tradizionale bipartizione delle assicurazioni che nella prima parte si riferiscono all’assicurazione contro i danni e nella seconda parte all’assicurazione sulla vita.
Le sezioni unite, quindi, hanno ritenuto di risolvere la querelle esegetica con la creazione del tertium genus, già, per la verità sostenuta da una dottrina – all’epoca – isolata anche se prestigiosa (Fanelli “Saggi di diritto delle Assicurazioni” Milano 1971), la cui disciplina oltreché dalle convenzioni tra le parti e dalle disposizioni generali deve essere individuata tra le norme che regolano le due figure disciplinate dal codice a seconda della peculiarità della fattispecie concreta, privilegiando l’applicabilità delle norme sull’assicurazione a cose e, quindi, del principio indennitario mentre, in via residuale e solo per il caso morte, andrebbero applicate le norme dell’assicurazione sulla vita: “… alla assicurazione contro le disgrazie accidentali non mortali, in quanto partecipe della funzione indennitaria propria dell’assicurazione contro i danni, si applica l’art. 1910, primo e secondo comma, c.c., il quale imponendo, in caso di stipulazione di più assicurazioni per il medesimo rischio, l’onere per l’assicurato di dare avviso di tutte le assicurazioni a ciascun assicuratore, e prevedendo, in caso di omissione dolosa dell’avviso, l’esonero degli assicuratori dal pagamento dell’indennità mira ad evitare che l’assicurato, ottenendo l’indennizzo da più assicuratori, persegua fini di lucro conseguendo un indebito arricchimento. Detta norma, invece, non trova applicazione in caso di assicurazione contro gli infortuni mortali, essendo questa forma di assicurazione assimilabile all’assicurazione sulla vita”.
Le sezioni unite, a nostro modesto avviso, invece di dare un profilo ad una costruzione nomofilattica di diritto hanno preferito ridimensionare i contrasti in subiecta materia ri facendosi proprio all’art. 1882 c.c. che nella sua portata letterale rivestirebbe sia il rispetto rigoroso del tradizionale architrave giuridico sia – nella sua positiva ambivalenza – la necessità di rivalere l’assicurato vuoi per il danno prodotto da un sinistro vuoi per il pagamento di un capitale o una rendita al verificarsi di un evento attinente alla vita umana.
A conforto di tale decisione, vi è la circostanza che, anche nell’assicurazione vita, si possa applicare il concetto indennitario di una valutazione secondo tabulas dal momento che lo stesso articolo 1908 c.c. comma II prevede la cd. “polizza stimata”: in parole più semplici, tutto ciò vale per le assicurazioni per le disgrazie accidentali non mortali laddove, nella seconda ipotesi, viene prevista la corresponsione dell’indennizzo in caso di incidente mortale, tipico dell’assicurazione sulla vita.
A ulteriore sostegno di tale decisione è da considerarsi che il codice delle assicurazioni private, entrato in vigore l’1.1.2006, ha fatto propri i criteri già indicati dalle Sezioni unite: in particolare l’art. 2 comma 3 punto 1 inserisce specificamente, i rischi da infortuni (compresi gli infortuni sul lavoro e malattie professionali) nella categoria “ramo danni” laddove include con l’art. 2 comma 1 punto IV nel “ramo vita” l’assicurazione malattia e l’assicurazione contro il rischio di non autosufficienza, che siano garantite mediante contratti di lunga durata, non rescindibili, per il rischio di invalidità grave, dovuta a malattia o a infortuni o a longevità.
Per concludere, la duplicità del rischio assicurato, secondo le Sezioni unite implica la diversificazione della regolamentazione del contratto che deve ritenersi assoggettato ad una disciplina di tipo misto con una individuazione a posteriori e, di volta in volta, delle norme applicabili in relazione all’evento effettivamente verificatosi.

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La decisione di riportare parte della polizza infortuni al ramo “danni”, lasciando al ramo “vita” il rischio residuo del caso “morte” non è stata accettata anche perché non ritenuta in armonia con l’art.1882 c.c. cardine dell’istituto assicurativo che prevede la dicotomia basilare dell’istituto assicurativo “danni” – “vita” in termini chiari, non lasciando spazi a tipologie diverse (peraltro, non prevedibili al momento della scelta del legislatore se non nel caso di configurazione ed adattamento rigoroso in una delle due richiamate tipologie).
Nel lontano 1998 con la pubblicazione “L’assicurazione contro gli infortuni: applicabilità dell’art. 1910 c.c.” abbiamo esposto le nostre convinzioni, in adesione a coloro che, rifiutando la costruzione del tertium genus, ritenevano che la polizza infortuni dovesse essere inquadrata nella polizza vita in critica alla sentenza del 4.8.95 n. 8597 della I sezione della Suprema Corte che aveva anticipato – tra le prime per quanto a nostra conoscenza – la decisione adottata successivamente dalle sezioni unite. Nello specifico, ritenemmo inapplicabile all’assicurazione infortuni l’art. 1910 c.c. per i motivi che abbiamo sintetizzato a sostegno di questa tesi e che, all’epoca, ottennero adesioni e recensioni favorevoli anche da parte dell’indimenticato Mario Dal Cin che ci chiese di pubblicare su ASSINEWS l’elaborato nella sua interezza (n.107/2001 della rivista).
Se a distanza di dieci anni dalla pronuncia della Suprema Corte a sezioni unite, sussistono ancora perplessità di tipo esegetico e di inquadramento, è auspicabile che vi siano ulteriori apporti ed impegni in dottrina onde si possa ottenere – in un eventuale percorso di revisione – una definitiva e più appagante soluzione nomofilattica e fare uscire la vexata quaestio da una incerta amalgama interpretativa che ha dato la stura – seppur indirettamente – a sentenze non corrette che, interpretando in modo ingiusto i canoni seguiti dalle Sezioni Unite, si sono spinte a fare confusione – per alcuni aspetti – tra la polizza infortuni e la polizza RCT (sentenza n. 638/2012 del Tribunale di Salerno e n. 46555/02 del Tribunale di Roma) non operando la netta distinzione tipologica e funzionale tra le due polizze, circostanza che sostanzia se non una aberratio iuris una grave incertezza in diritto.
È avvenuto che il ministero della Pubblica Istruzione, oggi ministero della Istruzione, della Università e della Ricerca, evocato in giudizio per danni subiti da alunni nell’ambito scolastico ha chiamato in causa, sulla base di una “polizza infortuni” e non di responsabili tà civile verso terzi, la compagnia assicuratrice ottenendo, addirittura, la condanna di questa ultima al pagamento dei danni richiesti, come se fosse stata attivata una polizza RCT e non una polizza infortuni.
Le polizze infortuni e le polizze che coprono i rischi correlati alla responsabilità civile, presentano delle differenze sostanziali che si esplicitano in vari ambiti: dalla modalità di attivazione alla modalità di liquidazione del relativo indennizzo. Per quanto riguarda le modalità di attivazione nella polizza infortuni, la compagnia assicurativa deve provvedere al pagamento indipendentemente dalla responsabilità dell’assicurato nella causazione del sinistro (quindi, basta provare che il fatto si è verificato per aver diritto all’indennizzo a differenza della polizze RCT in cui va provata la responsabilità), per quanto riguarda il secondo aspetto (cioè la liquidazione) poiché il dover pagare solo in relazione al fatto infortunio amplierebbe troppo la rosa dei danni indennizzabili, le polizze infortuni sono munite di una serie di clausole limitative dell’indennizzo (franchigie e/o scoperti). Per quanto riguarda, invece, l’ultimo aspetto cioè la modalità di calcolo dell’indennizzo, è sostenibile che trattandosi di una polizza che non copre la responsabilità civile dell’assicurato ma semplicemente l’infortunio, l’indennizzo andrà calcolato esclusivamente secondo le modalità stabilite contrattualmente e con i parametri indicati in polizza ed è impensabile pensare di poter calcolare l’indennità secondo i parametri stabiliti per la RCA o per la RCG perché la tipologia di rischio coperta dalla polizza infortuni è completamente diversa da quella coperta dalla polizza di responsabilità civile, dove non si parla (o non si dovrebbe parlare) di liquidazione di una indennità ma di pagamento di somme di danaro a titolo di risarcimento e da questa differenza lessicale emerge la sostanziale differenza tra i due tipi di polizza. La polizza RCG presuppone una responsabilità dell’assicurato, mancando la prova della quale, il risarcimento (conseguenziale al danno provocato dall’assicurato) non potrà essere liquidato, proprio perché tali polizze suppongono una prova rigorosa sulla responsabilità e non sono quasi mai soggette a clausole limitative nella liquidazione del danno. Fatto questo opportuno distinguo, va ribadito che la polizza infortuni proprio perché non è legata alla prova in punto di responsabilità molto spesso reca dei consistenti limiti alla liquidazione (scoperti e/o franchigie) nonché alla monetizzazione dell’indennizzo con aprioristica e rigida quantificazione del valore – punto per l’invalidità permanente.
Infine, la polizza infortuni è una garanzia diretta (a indennizzare l’assicurato – contraente o un suo beneficiario designato, in caso di morte) mentre la polizza di responsabilità civile trova la sua ratio nell’esigenza di garantire all’assicurato il risarcimento per i danni prodotti a terzi tanto è che l’art. 1917 c.c. al II comma prevede che l’assicuratore è obbligato al pagamento diretto se l’assicurato lo richiede.

Conclusioni
Il presente lavoro di stimolo ad ulteriori apporti di pensiero non può non prendere atto – per correttezza di esposizione – che alcuni recenti orientamenti di qualificata dottrina, invece di concludere per un réveriment stanno delineando un deciso percorso diretto all’inquadramento totale della polizza infortuni nel genus della polizza danni con ragionamenti e rilievi di indubbio interesse, indipendentemente da una eventuale condivisione.
Tra queste abbiamo trovato interessanti le osservazioni del Rossetti e del De Zuccato che cerchiamo di così sintetizzare.
Il Rossetti, incanalandosi autorevolmente nel filone della dottrina che ritiene di doversi applicare il principio indennitario anche alla copertura del caso morte, ha sostenuto che il contratto misto sostanzialmente accettato dalla richiamata sentenza, non è pienamente condivisibile in quanto le S.U. non si sono “fatte carico” di prendere adeguatamente posizione in merito alle numerose critiche che la dottrina da molto tempo aveva mosso alla tesi del tertium genus o del contratto “a doppia causa”.
L’autore ritiene che anche gli infortuni mortali possano rientrare nella tipologia “assicurazioni danni” e, in confutazione alle ragioni per le quali la Cassazione ha ritenuto applicabili le normative della polizza vita agli infortuni mortali, ha sostenuto:
a) non vi è identità – come hanno sostenute le S.U. – di rischio tra l’assicurazione infortuni mortali e l’assicurazione vita se non per un fatto tipicamente lessicale ed in una considerazione “astratta” del rischio.
b) Mentre nell’assicurazione vita la morte della persona costituisce il rischio in senso stretto e demanda l’obbligo dell’assicuratore del pagamento dell’indennizzo quale che ne sia la causa (salvo le delimitazioni legali o pattizie), nell’assicurazione infortuni perché sorga l’obbligazione di pagamento dell’indennizzo è necessario che esso derivi dall’infortunio. Il rischio assicurato non è la morte ma è l’infortunio dal quale deriva la morte. Di conseguenza, non è condivisibile l’assimilazione tra assicurazione vita ed assicurazione infortuni se non trascurando del tutto l’elemento causale del rischio.
c) Nell’assicurazione vita il rischio è rappresentato dall’incerta durata della vita umana ed è calcolato sulla base delle statistiche dei decessi. Nell’assicurazione infortuni la situazione rischio è rappresentata dalla maggiore o minore probabilità dell’infortunio in base ad una presunta sinistrosità pregressa: l’età della persona la cui morte è dedotta nel rischio ha importanza fondamentale nell’assicurazione vita ma non ne ha alcuna nell’assicurazione infortuni (nell’assicurazione vita la probabilità dell’avveramento del rischio è crescente in ragione dell’età mentre nell’assicurazione infortuni è costante e non cresce con l’aumento dell’età). Da queste deduzioni ne derivano – ad avviso del Rossetti – alcune conseguenze:
• nell’assicurazione infortuni il premio è ricavato dalla frequenza degli incidenti letali mentre nell’assicurazione vita è ricavato dall’età del portatore dei rischi e dalle riserve matematiche (assenti nell’assicurazione infortuni) mentre l’assicurato ha la facoltà di sciogliersi unilateralmente dal contratto esercitando il riscatto;
• La tesi della incommensurabilità in denaro della vita umana, può essere superata dalla considerazione che con la polizza infortuni non si tratta di dare un prezzo alla vita dell’uomo ma di misurare in denaro un pregiudizio che non può essere risarcito in forma specifica, monetizzazione possibile per qualsiasi tipo di danno alla strega di una moderna concezione e secondo il combinato disposto degli artt. 2043, 2058 e 2059 c.c.

Il De Zuccato, contestando la decisione delle Sezioni unite (che avrebbe aperto solo uno spiraglio di luce alla controversa materia), sostiene che i rischi inerenti la polizza infortuni vanno incanalati – nella loro interezza – nella copertura danni, come si evince da una interpretazione letterale e sostanziale dei contratti, aggiornati, proposti dalle compagnie di assicurazioni che hanno creato una tipologia contrattuale del tutto autonoma in rapporto ad una specifica domanda di mercato, la cui causa va individuata proprio nella volontà dell’assicurato di essere indennizzato.
Secondo il De Zuccato, infatti, le compagnie di assicurazioni con i contratti aggiornati delle polizze infortuni non individuano due diversi rischi (morte ed invalidità), bensì uno solo: quello delle lesioni.
La copertura assicurativa si attiverebbe non nel momento della morte o dell’invalidità ma nel momento della “lesione”, dal quale sorge il diritto all’indennizzo tale da comportare invalidità temporanea, invalidità totale o morte o, addirittura, la risoluzione per guarigione: in tale prospettazione si può facilmente individuare la decorrenza della inabilità temporanea la quale deve essere calcolata dal momento delle lesioni fino a guarigione avvenuta. In parole più semplici, per quanto riguarda gli assicuratori basta un vulnus all’integrità fisica per focalizzare la copertura della polizza indipendentemente dalle conseguenze laddove – acclarato il diritto all’indennità – resta esclusivamente la valutazione quantitativa dell’indennizzo a seconda delle due conseguenze (invalidità temporanea o definitiva o morte).
Il De Zuccato conclude ritenendo che l’assicurazione infortuni è basata sull’esistenza di un rischio (quando non si sa quando un evento possa accadere o meno) caratteristica tipica dell’assicurazione contro i danni e, quindi, non riferibile al caso di morte nell’assicurazione di cui all’art. 1920 c.c.
L’autore ha rilevato – in tale ottica – che la Suprema Corte è refrattaria nel recepire che la morte istantanea da infortunio non esiste e che sino a quando la morte non sia avvenuta la vittima di un infortunio resta titolare di tutti i suoi diritti e che, quindi, spetta ad essa e non ad altri beneficiari l’indennizzo dovuto per le lesioni concretizzatesi immediatamente prima della morte: proprio perché la morte non è perfettamente coincidente con il momento delle lesioni. Di conseguenza, non esistendo la morte istantanea da infortunio e non sussistendo alcun diritto proprio ai sensi dell’art.1920 c.c., tale disposizione tipica dell’assicurazione morte non sarebbe applicabile alla polizza infortuni. L’autore, a sostegno della sua tesi, rileva l’importanza del fatto che gli assicuratori propongono le assicurazioni sulla morte per cause naturali offrendo ai clienti opzioni di raddoppiare la somma assicurata in caso di morte per infortunio e triplicarla in caso di morte da infortunio da circolazione stradale.
A quale scopo – si chiede l’autore – costituire questa progressiva di somme assicurate se non per assegnare valori differenti a tali fatti che configurano in modo incontrovertibile la loro rispettiva natura?
Inoltre, sempre secondo l’Autore, le Sezioni Unite sbagliano allorquando si riferiscono alla soluzione finale del problema – invalidità o morte – senza considerare l’origine (lesione) mentre, ad aggravare la posizione della Suprema Corte interviene anche l’utilizzo improprio della parola “indennizzo” che non è tale nell’assicurazione vita dove non esiste alcun indennizzo bensì il solo pagamento al beneficiario di una somma pre-convenuta.
La chiave per comprendere la natura giuridica dell’assicurazione infortuni sono le lesioni e – una volta accertata la loro sussistenza prodotta da un evento con i requisiti indicati – si comprende che l’assicurazione infortuni è una copertura indennitaria di un danno subito dalla vittima sia in caso di invalidità che in caso di morte (la morte non come un evento attinente alla vita umana ma conseguenziale alla lesione). Dall’infortunio non nascono due situazioni distinte quali la morte e l’invalidità bensì una sola ed unica situazione quale le lesioni mentre sussiste sempre la differenza di tempi tra i momenti “lesione” e “morte” perché, se così non fosse, non vi sarebbe morte “conseguenze ad infortunio” bensì “morte istantanea”.