Giovanni Pons
C arlo Cimbri, l’amministratore delegato di Unipol, ha di fronte settimane cruciali per portare a termine l’operazione. A fine marzo ci saranno le assemblee degli azionisti di risparmio della Fonsai e della Milano e in base alle decisioni che prenderanno questi ultimi c’è il rischio che la Milano resti fuori dal perimetro della fusione. Sul tappeto ci sono inoltre le vicende giudiziarie su alcuni derivati emessi anni fa da Unipol Banca e contestati da alcuni imprenditori che ritengono di esserne stati danneggiati. Ma soprattutto c’è l’Ivass, il nuovo istituto che vigila sulle assicurazioni, che si trova davanti alla sua prima decisione cruciale, autorizzare o meno l’aggregazione tra Unipol, Fonsai, Milano e Premafin, a cominciare dai rapporti di concambio. alle pagine 4 e 5
L’ Ivass, il nuovo istituto che vigila sul mercato assicurativo e che è strutturalmente collegato alla Banca d’Italia, si trova davanti alla prima decisione cruciale della sua vita. Autorizzare la fusione tra Unipol, Fonsai, Milano e Premafin. Il passaggio è difficile perché sono ancora numerosi i punti di incertezza della mega operazione, fortemente sponsorizzata nel corso del 2012 da Mediobanca e Unicredit. Uno di questi è sicuramente la definizione dei termini di concambio, la cui congruità dovrà essere asseverata dalla Reconta Ernst & Young, nominata dal Tribunale di Torino. Si dovrà capire se la metodologia utilizzata per arrivare ad assegnare alla compagnia bolognese il 63% del nuovo aggregato e agli azionisti Fonsai diversi da Unipol e Premafin il 25% è corretta. Le valutazioni sono state effettuate dalle banche d’affari incaricate dai cda sulla base dei dati forniti da Unipol. In particolare le banche hanno preso in considerazione i dati prospettici del nuovo piano industriale presentato prima di Natale, in cui sono state attribuite a Fonsai 900 milioni di maggiori riserve che vanno a pesare sugli anni 2013-2015 e che si aggiungono al miliardo già attribuito al bilancio 2011. Una scelta che ha contribuito ad affossare il valore di Fonsai e, di riflesso, aumentare quello di Unipol. E che contraddiceva i risultati di una riunione del “Comitato controllo interno” del luglio 2012, nella quale si faceva il punto sulle riserve del gruppo Fonsai riconoscendo lo sforzo già sostenuto nel corso del 2011. Gli interventi effettuati, è scritto nel documento, hanno portato a «significativi rafforzamenti delle riserve sinistri delle generazioni precedenti, che sono stati pari a 810 milioni per il ramo Rca e a 211 milioni per il ramo Rcg (Fonsai più Milano). Anche le riserve delle generazioni correnti sono state sostanzialmente rafforzate e allineate ai livelli di mercato». Il tema riserve era già stato sollevato dall’Isvap nel settembre 2011, che al termine di un’ispezione imponeva a Fonsai una maggiore riservazione di circa 500 milioni per coprire le mancanze degli anni precedenti. Ma l’allora direttore generale Piergiorgio Peluso decideva di calcare la mano ed appostarne per un miliardo, 500 milioni in più del dovuto. Una cura da cavallo, non richiesta, che ha portato a effettuare un aumento di capitale da 1,1 miliardi invece che da 600 milioni. Non contento, a fine 2012 il management di Unipol ha deciso di ammazzare definitivamente Fonsai con altri 900 milioni di riserve adducendo diverse metodologie di calcolo tra le due compagnie. La logica è evidente: più si deprime il valore di Fonsai più risulta migliore il valore di Unipol e più facilmente si giunge al risultato di 63%-25% espresso dai concambi. Bisognerà dunque vedere se l’Ivass terrà conto di ciò nel suo giudizio finale e soprattutto la mano diversa che è stata utilizzata nei confronti di Unipol. Prima di tutto nella valutazione non si è tenuto conto di Unipol Banca, una controllata che su 10 miliardi di prestiti ne ha una gran parte in sofferenza. Banca d’Italia ha condotto una lunga ispezione ma non è dato sapere quale sono state le sue conclusioni. Secondo, l’Isvap aveva chiesto nel luglio 2012 almeno 210 milioni di riserve in più a Unipol che sono state contestate dagli uomini di Carlo Cimbri e mai appostate a bilancio. Tanto che il mercato attende ancora una parola definitiva dell’Ivass. Terzo, la Consob a fine 2012 ha contestato a Unipol la non conformità dei suoi bilanci per aver contabilizzato erroneamente il portafoglio di titoli strutturati e derivati all’attivo per circa 5 miliardi. Unipol ha rifatto i conti e pubblicato i bilanci pro forma con una differenza di soli 28 milioni, in quanto nel frattempo è riuscita a farsi cambiare alcune clausole contrattuali dalla Jp Morgan, nei cui veicoli la compagnia ha investito 2,6 miliardi dei 5 oggetto di attenzione. La Consob per parte sua non ha ancora asseverato la riclassificazione operata da Unipol in quanto attende gli esiti di una propria valutazione di quel portafoglio affidata all’ufficio Analisi Quantitative lo scorso novembre. Ma per farsi un’idea all’Ivass basta leggere l’analisi condotta dalla stessa Ernst & Young nella primavera del 2012, quando la Fonsai l’aveva incaricata di una due diligence sui conti Unipol. Ne era uscito un corposo documento, datato maggio 2012, nel quale si assegnava a Unipol un Anav (adjusted net asset value) contabile al dicembre 2011 di 302 milioni, sul quale gravavano 1,2 miliardi di minusvalenze latenti sul portafoglio dei 400 titoli strutturati e derivati, cifra che scendeva a 591 milioni dopo le retrocessioni agli assicurati e l’effetto fiscale. La maggior parte di questi titoli, esattamente il 41% del totale, sono inseriti nelle categorie contabili Htm (Held to maturity) e L&R (Loan & receivables) cioè quelle dove tali titoli non richiedono una verifica periodica ai fini di una possibile svalutazione. Inoltre la Ernst & Young, in quel rapporto di maggio 2012, individuava le seguenti criticità sul portafoglio strutturati Unipol: 1) la maggior parte delle emissioni si caratterizza per la scarsa liquidità; 2) la maggior parte delle emissioni è costituita da titoli emessi da Special Purpose Vehicles creati ad hoc; l’unica modalità di realizzo dell’investimento consiste nello scioglimento del veicolo con i relativi costi; 3) la maggior parte delle emissioni hanno scadenza superiore al 2021 ed alcune sono perpetue (salvo rimborso anticipato); 4) la maggior parte delle emissioni ha come collaterale (oppure come clausola credit linked) titoli pubblici italiani, ma sono presenti anche forti esposizioni, dirette o indirette, verso il settore corporate; 5) si riscontra una significativa esposizione a strategie di tasso quali Cms, inflation e range accrual, alcune delle quali molto complesse; 6) sono spesso presenti coupon misti (prima fissi e poi variabili) che potrebbero generare delle asimmetrie di rendimento nel tempo. Ce n’è abbastanza per drizzare le antenne. Fabrizio Saccomanni, pres. Ivass, insieme al presidente Consob, Giuseppe Vegas