Da parecchi anni manifesto la mia preoccupazione per il dilagare dei derivati, che sono divenuti una delle principali cause del dissesto finanziario: uno dei primi interventi in pubblico di denuncia fu con la relazione introduttiva al 50° anniversario della Rivista delle Società nel 2005 a Venezia.
Nell’ambito delle ricerche della Fondazione Antonio Uckmar, il capogruppo è il dott. Francesco Dian, brillante laureato all’Università di Genova e con esperienze alla London School of Economics e all’International Tax Centre di Leiden.
Secondo le ricerche della Bank of international settlements (Bis), l’ammontare nozionale dei derivati è pari a 670 trilioni di dollari, circa 11 volte il pil mondiale! Nonostante i «buoni propositi» manifestati dai membri del G-20 a Pittsburgh nel 2009, la regolamentazione procede a rilento e il mercato dei derivati continua a crescere senza trasparenza. Ne sono la conferma i numerosissimi scandali finanziari (tasso Libor, Monte dei Paschi) che ripropongono con forza l’esigenza di una regolamentazione più severa, soprattutto nel senso di una maggiore trasparenza.
Il Dodd-Franck Act promulgato da Obama nel 2010 è di difficile applicazione e necessita di moltissimi provvedimenti attuativi: il testo finale dovrebbe raggiungere le 30 mila pagine!
L’Unione Europea, ha promulgato il Regolamento Emir nel luglio 2012, ma, dopo lunghe trattative e resistenze (del Regno Unito, in particolare), dovendo raggiungere diversi compromessi che ne hanno indebolito l’efficacia.
Per quanto riguarda l’Italia, il confronto sui derivati è a tutto campo: tutti i settori del diritto ne sono interessati (penale, amministrativo, civile e tributario). È il caso di molti Enti locali italiani, costretti a promuovere azioni giudiziarie per essere stati raggirati dalle Banche per la conclusione di derivati: sono state recentemente pubblicate le motivazioni della sentenza del Tribunale di Milano che ha condannato per truffa i funzionari delle Banche per la sottoscrizione di un derivato a danno del Comune di Milano.
Nonostante il legislatore abbia temporaneamente vietato (con la finanziaria per il 2009) agli Enti locali la conclusione di contratti derivati, secondo le stime di Bankitalia, il valore dei derivati sottoscritti dagli Enti locali italiani rimane ancora alto, pari a circa 11 miliardi di euro per 206 tra Comuni, Province e Regioni.
Dal punto di vista fiscale, l’imposta sulle transazioni finanziarie (Tobin Tax), introdotta nell’ultima legge di stabilità, non sembra in grado, da sola, di combattere gli eccessi della finanza speculativa.
Al riguardo, non mancano infatti le riserve. L’imposta si applica ai derivati in maniera fissa indipendentemente dal valore, per un ammontare modesto e con esclusivo riferimento ai derivati sui titoli del mercato azionario, ovunque avvengano le operazioni e dovuta anche dai non residenti, con evidenti problemi in termini di accertamento e riscossione; per giunta, l’imposta non si applica a moltissime categorie di derivati quali i credit default swaps sul debito pubblico italiano che hanno contribuito in maniera decisiva alla crisi finanziaria del nostro Paese, con un aumento vertiginoso dei tassi di interesse.
Tuttavia, l’Unione Europea, in una versione ristretta a undici per l’opposizione di molti Stati membri, (in primis il Regno Unito) ha avanzato una nuova proposta di Tobin Tax che dovrebbe probabilmente rimpiazzare l’imposta italiana. Il testo europeo, pubblicato il 14 febbraio scorso, sembra risolvere alcuni dei problemi dell’imposta italiana: il campo di applicazione si estende a molte categorie di derivati escluse dalla norma italiana e si applica in maniera proporzionale al valore nozionale del derivato (anche se in misura minore rispetto alle transazioni sulle azioni). La nuova imposta dovrebbe entrare a regime nel 2014, sempre che non ci siano intoppi nelle negoziazioni.
Intanto, il mercato dei derivati continua a crescere. Secondo il report della citata Bis del giugno 2012, le banche hanno raggiunto un’esposizione in derivati pari a quella elevatissima che ha poi portato alla crisi finanziaria («credit crunch») nel 2007-2008! E continua a mancare la regolamentazione, quanto meno la tracciabilità (volontaria), per la trasparenza del prodotto come più volte ho auspicato. (riproduzione riservata)
*presidente Fondazione
Antonio Uckmar