«Il Servizio sanitario nazionale è titolo di civiltà per il nostro Paese». Dopo il monito del presidente della repubblica, Giorgio Napolitano, la sanità è tornata a essere uno dei cavalli di battaglia nella campagna elettorale di quasi tutti gli schieramenti politici in vista delle elezioni politiche del 2013. Tra mille ricette più o meno efficaci, e indirizzi di principio più o meno indiscutibili.
Del resto da anni, ormai, il sistema sanitario in Italia è al centro della produzione normativa nazionale e regionale che, in ultima analisi, ha determinato un progressivo aumento della spesa sanitaria nei bilanci delle Regioni. Tra il 2008 e il 2010 la spesa sanitaria è passata dai 108 ai 112 miliardi di euro, con un incremento del 2,1% sul pil, attestando quindi il rapporto fra spesa sanitaria e pil al 7,3%. Gli effetti delle misure di contenimento della dinamica della spesa, dovrebbero ridurre la dinamica di spesa nel 2011, ma le previsioni per il 2012 attestano la spesa sanitaria intorno ai 115 miliardi di euro, con un balzo del 2,2% rispetto al 2011.
Lo stato di salute del sistema sanitario italiano non è solo uno dei problemi più gravi nella contabilità dello Stato, ma è anche fonte di preoccupazione per milioni di cittadini che lo considerano un bene primario e irrinunciabile, nonostante la spesa sanitaria sia una delle voci più pesanti del budget familiare: nel 2010 la spesa sanitaria pubblica in Italia è stata di 1.853 euro per abitante.
Ma la salute è anche una delle principali linee di intervento del sistema delle libere professioni, che trova in Cadiprof il suo punto di riferimento più importante. Negli ultimi quattro anni, la Cassa di assistenza sanitaria integrativa per gli studi professionali ha erogato ai suoi 300 mila aderenti oltre 600 mila prestazioni per un valore che supera i 51 milioni di euro. Numeri che la collocano ai vertici delle graduatorie nazionali dei fondi integrativi.
Sulla scorta dell’esperienza fin qui maturata, Cadiprof rappresenta sicuramente un punto di osservazione privilegiato per inquadrare le problematiche del sistema sanitario nazionale e avanzare qualche proposta per migliorare la salute dei cittadini (in particolare per quelli che operano all’interno degli studi professionali) e, magari, per facilitare una politica di risparmi nell’ambito della spesa sanitaria. Partendo dalla validità del sistema universalistico che assicura nel nostro Paese (anche se a volte in modo differenziato a seconda delle Regioni) un elevato livello di qualità dell’assistenza, comunque, garantita a tutti con equità, la sanità oggi deve fare i conti con le minor risorse a disposizione. Le politiche di spending review stanno mettendo in discussione la tenuta del modello universale e i tagli orizzontali destano forte preoccupazione. Tenuto conto che le previsioni di spesa nell’ambito della sanità pubblica sono destinate ad aumentare anche per l’invecchiamento della popolazione c’è il serio rischio di creare un default.
Una delle possibili soluzioni, tanto sbandierata ma non ancora perseguita con efficacia, è quella di utilizzare i costi standard (su beni di consumo, personale, servizi e attrezzatura) a livello nazionale, responsabilizzando al tempo stesso gli addetti ai lavori anche a livello regionale.
Un altro aspetto che incide direttamente sulla spesa sanitaria e sulla salute dei cittadini riguarda i Lea. Si tratta dei Livelli essenziali di assistenza: quelle prestazioni e servizi che il Servizio sanitario nazionale è tenuto a fornire a tutti i cittadini, gratuitamente o dietro pagamento di una quota di partecipazione (ticket). Recentemente, il ministro della Salute, Renato Balduzzi, ha aggiornato i Lea, suscitando però alcune polemiche tra gli addetti ai lavori. Da questo punto di vista, è sicuramente necessaria una nuova revisione dei Lea che sia non solo un mero elenco di prestazioni erogate, ma una vera e propria mappatura dei bisogni assistenziali correlata con le caratteristiche epidemiologiche delle diverse fasce di età della popolazione italiana. Questa nuova impostazione garantirebbe una «corretta» distribuzione delle prestazioni «erogabili» legate più ai bisogni sanitari dell’individuo, che non alle esigenze di cassa dello Stato e delle Regioni.
Altro capitolo caldo riguarda la partecipazione di spesa dei cittadini alla spesa sanitaria. Stiamo parlando dei famosi ticket per i quali deve esserci un unico indirizzo nazionale e una sua corretta definizione che sia proporzionata alla prestazione erogata e non definita in termini assoluti con il rischio di «pagare» quasi completamente la prestazione.
Un ultimo aspetto che merita un doveroso approfondimento da parte del prossimo governo riguarda il ruolo dei Fondi integrativi all’interno del sistema sanitario nazionale nell’ottica di una maggior sussidiarietà nel processo di deospedalizzazione in atto in ogni Regione. I fondi, infatti, potrebbe essere messi a disposizione dei Medici di Medicina generale che riuscirebbero così a garantire l’appropriatezza delle prestazioni specialistiche e diagnostiche da erogare ai loro pazienti attraverso le disponibilità (risorse) dei Fondi integrativi stessi. Si tratta di una proposta innovativa che impone un cambiamento culturale del modello di deospedalizzazione verso il territorio per garantire continuità delle cure con attenzione alla cronicità, implementazione di nuovi modelli organizzativi dei Medici di Medicina Generale. Un nuovo modello, condiviso con il sistema sanitario, per fornire ai medici strutture, personale, modelli organizzativi rapportati ai bisogni carenti della popolazione. Un sistema che, a fronte di una riduzione dei costi sanitari da parte delle Asl, garantirebbe un sistema di cura efficiente capace di abbattere i costi di circa il 50%.