di Sandro Catani*
Il tradizionale riserbo che circonda le retribuzioni dei vertici nelle aziende quotate italiane potrebbe confermarsi nelle imminenti assemblee per l’approvazione del bilancio 2011. La Relazione per la Remunerazione, deliberata dalla Consob il 23 dicembre scorso dopo un processo di consultazione durato due mesi, apre alcune finestre ma non riduce l’asimmetria informativa in materia tra gli attori rilevanti dell’impresa. In particolare, le norme non impongono di comunicare in via anticipata la relazione precisa tra la performance e il compenso variabile. Gli esiti del primo voto sui compensi sono difficilmente prevedibili. Non sarà una rivoluzione, i piccoli azionisti a causa della complessità dei dati potranno esprimere solo reazioni improntate al buon senso, ma gli analisti e i proxy advisor dispongono di metodi affinati e potrebbero mostrare anche nella nostra borsa un maggiore attivismo, stigmatizzando con un voto negativo pratiche poco chiare. Ricapitoliamo la vicenda. Dopo la crisi del 2009 la Commissione Ue ha emesso una raccomandazione perché migliorasse la trasparenza sulle retribuzioni degli amministratori esecutivi e degli alti dirigenti nelle aziende quotate. Da parte sua il Financial Stability Board, presieduto da Mario Draghi, ha inciso profondamente sulle pratiche delle banche nel tentativo di scoraggiare l’azzardo morale nella gestione dei rischi. Nel marzo 2010 il Comitato per la corporate governance della borsa riscrive l’articolo 7 sui compensi, inserendo nuovi principi in materia, tra cui il coinvolgimento degli azionisti, possibili differimenti dei bonus e limiti alle indennità di cessazione rapporto. Il governo italiano, alla fine del 2010, introduce il 123-ter del Testo Unico della Finanza, la Relazione sulla Remunerazione. Tre erano le architravi del legislatore: il voto consultivo dell’assemblea sulla politica di remunerazione per il periodo successivo; una più completa struttura informativa, soprattutto sui compensi variabili e i «paracaduti d’oro»; infine, la definizione, il monitoraggio e il controllo dei compensi. Il decreto affidava alla Consob la disciplina della comunicazione. Tuttavia il testo sottoposto alla consultazione con le parti rilevanti (Assonime, Confindustria, Banca d’Italia, Isvap, professionisti e studiosi della materia) accanto ai miglioramenti ha subito alcune non desiderabili riduzioni di trasparenza. Grazie alla consultazione la normativa è stata semplificata: ad esempio banche e assicurazioni potranno seguire la normativa di settore perché prevede un maggior livello di dettaglio; resta confermata la trasparenza sulla politica dei trattamenti previsti in caso di cessazione dalla carica o di risoluzione del rapporto di lavoro. Altri miglioramenti tecnici riguardano la conferma dell’obbligo di indicare il fair value degli incentivi basati su strumenti finanziari. Cosa si è perduto? Anzitutto, è stato eliminato il parere da parte del Comitato per la Remunerazione, previsto nel testo originario. Secondo, l’indicazione nominativa sui compensi dei dirigenti strategici sarà obbligatoria solo se questi sono pagati meglio del direttore generale. Un’ipotesi irrealistica. La stessa Consob è tanto incerta sulla cancellazione da ripromettersi di riesaminare la questione. È stata rimossa un’informazione utile a comprendere il funzionamento del team di vertice e la disponibilità di ricambi naturali in caso di successione. Ma la mancanza più grave riguarda il calcolo dei bonus e degli incentivi di lungo termine, il pay-for-performance, che determina la componente retributiva più importante per un top manager. I compensi sono economicamente legittimi quando collegati alla creazione di valore almeno per gli azionisti, se non per tutti i portatori di interesse. Perciò, per ogni euro pagato ai manager dovremmo avere un corrispondente e prefissato livello di risultato e prevedere la prestazione minima, una soglia sotto la quale non è possibile riconoscere un compenso variabile, poiché in quel caso distruggerebbe valore. La relazione tra performance e premio è il cuore dell’impresa capitalistica dove la proprietà e il controllo sono separati. Il Regolamento Consob assume al riguardo una posizione generica: «Con riferimento alle componenti variabili, una descrizione dei parametri in base ai quali vengano assegnate, e informazioni sul legame tra la variazione dei risultati e la variazione della remunerazione». Sullo stesso punto, il nuovo Codice di autodisciplina recita nel commento all’articolo aggiornato sulla remunerazione: «Non è necessario che la politica sulle remunerazioni determini nel dettaglio la formula che esprime la correlazione tra la componente variabile e gli obiettivi, essendo sufficiente che siano indicati gli elementi ai quali commisurare dette componenti variabili e le relative modalità di misurazione». Così, in un singolare gioco dei ruoli, il Regolamento formula una trasparenza «avanzata», più in linea con le pratiche internazionali, rispetto alle previsioni del Codice di autodisciplina. Garantire un armonioso rapporto tra gli obiettivi raggiunti dal management e i premi è ruolo fondamentale di un buon Comitato di Remunerazione. Il parere sulla relazione avrebbe accresciuto la responsabilità del Comitato e per i suoi componenti avrebbe avuto la conseguenza di «metterci la faccia» come da più parti si chiede quando accade qualche caso clamoroso. Ben diversa è la prassi in Gran Bretagna. Esemplare è il comunicato stampa del Remuneration committee della BP firmato dal suo chairman, DeAnne S. Julius, che dettaglia le decisioni sui compensi dei manager dopo il disastro del Golfo. In Gran Bretagna è prassi che la lettera del Comitato remunerazione agli azionisti dia le linee guida sui compensi della società. Una politica retributiva è tale se esplicita, all’interno e all’esterno, il posizionamento dell’ impresa rispetto ad altri soggetti, comunica la differenza tra il compenso totale dell’ad e quello della prima linea, articola la distribuzione tra la componente fissa e quelle variabili di breve e lungo termine. La comprensibile prudenza nel maneggiare informazioni price sensitive non può giustificare affermazioni generiche. Potremmo scoprire nelle prossime assemblee che nonostante la formale compliance alle regole, gruppi di azionisti, anzitutto i fondi, esprimono voto negativo sulla materia. I cda in questa fase di stesura delle Relazioni hanno due alternative: limitarsi a quanto prescritto o credere che una maggiore trasparenza sia premiata da analisti e investitori. (riproduzione riservata) *The European House-Ambrosetti