di Laura Magna
L’Italia senza la A di Standard & Poor’s? Non si muove, ma rimane salda nei portafogli dei fondi di liquidità. Lo avevano confermato a TuttoFondi i money manager, spiegando che nella scelta degli asset su cui investire fanno ricorso a modelli interni di valutazione che tengono conto di molte variabili, come il rating, ma anche lo spread, il valore implicito dei Cds, e sistemi di giudizio interni. Ma a sgombrare il campo da possibili equivoci e a dare una mano alle Sgr nella conservazione dei portafogli è infine intervenuta Assogestioni, valutando una «possibile riduzione del limite minimo di rating previsto per le emissioni sovrane detenute dai fondi di liquidità. Tale limite verrebbe portato al livello di investment grade». Una soluzione all’italiana? Cambiare le regole per adeguarsi, senza toccare lo status quo, a situazioni modificate? Non proprio, in realtà. La stessa previsione è contenuta infatti nelle linee guida del Cesr in materia di fondi monetari. La norma sarebbe dovuta essere recepita dagli Stati europei nell’ambito dell’attuazione della Direttiva Ucits IV, lo scorso luglio. «E in effetti non è stata applicata, almeno in Italia, per ritardi del parlamento – spiega a B&F Pietro Stovigliano, associate partner Kpmg – diciamo che l’iniziativa di Assogestioni dà un impulso a un processo che impone l’Europa e su cui siamo indietro». Insomma, nel complesso il giudizio è positivo. Il nuovo limite è stato definito con la finalità di tutelare l’interesse degli investitori e assicurare continuità dei flussi di risparmio a favore delle finanze pubbliche. Il rischio cioè con il declassamento dell’Italia, sarebbe potuto essere di un deflusso in uscita dai Btp, con perdite ingenti di conto capitale per gli investitori, considerate le quotazioni attuali dei titoli di Stato italiani, ed effetti potenzialmente dirompenti sulla situazione debitoria italiana.
«Anche se – continua Stovigliano – secondo le attuali regole di classificazione di Assogestioni, i fondi di liquidità possono detenere obbligazioni con un rating almeno pari, alternativamente, ad A2 di Moody’s, A di S&P oppure rating equivalente assegnato da altra agenzia indipendente (ad esempio A di Fitch). Condizione che risulta soddisfatta dalle emissioni del nostro Paese». In realtà l’uscita dai Btp italiani da parte dei fondi di liquidità sarebbe potuta esserci solo nel caso in cui le tre agenzie insieme avessero declassato il merito di credito domestico domestico. «In ogni caso – continua l’esperto di Kpmg – la ragione di questo cambiamento proposto da Assogestioni nelle regole di classificazione è che il rating è solo uno degli indicatori del merito di credito, ma si sa quali sono i suoi limiti. La norma ha così l’effetto di scongiurare il panico. Peraltro è da sottolineare che i sistemi di controllo del rischio interni alleS gr aiutano a presidiare in modo più completo il rischio di credito tenendo in considerazione anche ulteriori variabili quali credit spread, rating interni e valutazioni implicite derivanti da CDS».
Inoltre non bisogna dimenticare che anche in caso di sforamenti dai limiti la società di gestione del risparmio ha il diritto/dovere di analizzarne le ragioni e agire di conseguenza Cioè? «Cioè in caso di sforamento dei parametri da da “gestione passiva”, generata da movimenti improvisi del mercato, come nel caso che stiamo esaminando qui, la Sgr ha il dovere di verificare la situazione e prendere le decisioni in base all’interesse dell’investitore. Ma non è mai costretta a vendere. La tutela dell’investitore finale è infine garantita dalla Banca d’Italia che verifica che le Sgr abbiano sistemi di controllo del rischio adeguati. Un ulteriore livello di controllo che è una garanzia per l’investitore. Al quale, naturalmente, saranno inviate tutte le eventuali informative relative ai nuovi prospetti. Ripeto, la norma in sé serve a evitare che non si risponda in maniera traumatica a un indicatore che non è univoco».