Andrea Di Biase
La ritrovata centralità di Mediobanca e del suo management, guidato dal presidente Renato Pagliaro e dall’ad Alberto Nagel, sia in termini di influenza su quella che ai tempi di Enrico Cuccia era chiamata la Galassia del Nord, sia in termini di partecipazione con un ruolo di leadership alle principali operazioni realizzate nell’ultimo anno a Piazza Affari, ha esposto la banca d’affari a un fuoco di fila di critiche, più o meno esplicite, da parte dei concorrenti e degli osservatori, come non si vedeva dai tempi in cui alla guida dell’istituto c’era Vincenzo Maranghi. Dopo il benservito a Cesare Geronzi quale presidenza delle Generali, dove il management di Mediobanca è stato abile a capitalizzare gli attacchi di Diego Della Valle al banchiere capitolino, riuscendo a portare dalla propria parte gran parte degli azionisti della compagnia triestina, Mediobanca ha visto chiudersi in modo lei favorevole alcune delle principali partite aperte in quel momento. L’azzeramento del cda della Rcs Quotidiani, dove fino ad allora sedevano oltre a Geronzi anche Giovanni Bazoli, Marco Tronchetti Provera, John Elkann e Diego Della Valle, riportando alla centralità il patto di sindacato di Via Rizzoli è stato solo il primo risultato conseguito. Poi si è avuto lo stop della Consob, guidata da Giuseppe Vegas, al tentativo di Groupama, benedetto da Vincent Bollorè e, si dice, anche dallo stesso Geronzi, di offrire supporto alla traballante Fondiaria-Sai di Salvatore Ligresti, che ha aperto la strada a una soluzione più gradita a Mediobanca, con l’ingresso nel capitale della compagnia di Unicredit. E di esempi se ne potrebbero fare numerosi. La mano di Piazzetta Cuccia è stata, ad esempio, determinante nel consentire alla Investindustrial di Andrea Bonomi di conquistare la Popolare di Milano avendo la meglio sul fondo Sator dell’ex enfant prodige della stessa Mediobanca, Matteo Arpe. Così come gradito alla banca d’affari milanese sarebbe il passaggio del controllo di Impregilo sotto le insegne del gruppo Gavio. Non per nulla nell’ultimo aggiornamento del patto di sindacato della banca d’affari, il gruppo di Tortona, in ottimi rapporti soprattutto con il presidente Renato Pagliaro, ha ottenuto la possibilità di accrescere ulteriormente la propria partecipazione. Proprio il rinnovo lo scorso autunno del patto di Mediobanca, che nei disegni dei critici di Nagel avrebbe dovuto essere il momento per regolare i conti, si è invece rivelato nuovo motivo di rafforzamento. Alla fine anche quella scadenza, nonostante la rumorosa decisione di Della Valle di lasciare il patto, quando fino a pochi giorni prima l’imprenditore marchigiano sembrava pronto ad aumentare la propria quota e ad entrare nel cda, è stata gestita con abilità dai manager della banca d’affari, che sono riusciti anche a rafforzare le prerogative di autonomia grazie alla revisione dello statuto in questa direzione. Esemplare a questo proposito è la ridefinzione del comitato nomine (centrale nella predisposizione delle candidature per i cda di Generali, Rcs e Telco). Se prima infatti il peso del manegement era inferiore a quello dei rappresentanti dei grandi soci, oggi in un comitato composto da 5 consiglieri i manger sono 3 (Pagliaro, Nagel e il dg Francesco Saverio Vinci). Se poi si pensa che, grazie a un’attenta gestione del profilo di liquidità e del patrimonio, che ha consentito a Mediobanca di attraversare senza grandi apprensioni i momenti più duri della crisi finanziaria, l’istituto di Piazzetta Cuccia ha organizzato e garantito quasi tutti gli aumenti di capitale realizzati negli ultimi mesi dalle banche italiane (Banco Popolare, Ubi, Mps e Unicredit), meglio si comprendono le ragioni dell’insofferenza manifestata dai principali concorrenti per la dimostrazione di forza della banca d’affari milanese. Anche per queste ragioni la sfida lanciata a Mediobanca dalla Palladio Finanziaria di Roberto Meneguzzo e Giorgio Drago (quest’ultimo con un passato nella banca d’affari) assieme ad Arpe sul riassetto di Fondiaria-Sai, viene seguita con particolare interesse dai concorrenti di Piazzetta Cuccia. Poco importa se i due scalatori non abbiano ancora manifestato ufficialmente i veri programmi, evidentemente alternativi a quelli di Unipol, Mediobanca e Unicredit, per rilanciare la compagnia presieduta da Jonella Ligresti, e che ancora non si comprenda quale sia la logica industriale dell’operazione. Il solo fatto che alcuni soggetti di mercato abbiano deciso di provare a sfidare la banca d’affari guidata da Nagel e Pagliaro, anche solo per frenare i suoi piani, ha fatto rialzare la testa a quanti stavano aspettando il momento per prendersi la propria rivincita. Pazienza poi se la cordata oggi formata da Palladio e Sator non raggiungerà l’obiettivo pieno e Unipol riuscirà a portare a termine il progetto di integrazione con Fondiaria- Sai; l’importante, secondo i concorrenti di Mediobanca, è il messaggio di sfida che l’intervento di Meneguzzo e Arpe contiene. Nonostante gli strascichi mediatici che la partita su Fondiaria-Sai sta avendo anche sul vertice delle Generali (sulla stampa è stato più volte adombrato una sorta di compiacimento del ceo Giovanni Perissinotto per l’azione di disturbo di Palladio, anche se seccamente smentita dal diretto interessato), i grandi azionisti del Leone, almeno in questa fase, sembra abbiano fatto quadrato con Mediobanca. Sia il gruppo De Agostini, guidato da Lorenzo Pellicioli, sia Francesco Gaetano Caltagirone e Leonardo Del Vecchio, che assieme detengono oltre il 6% del Leone, sebbene si chiamino fuori dal vivo della partita, di dichiarano allineati alle posizioni di Piazzetta Cuccia. Dal punto di vista pratico, per ora è difficile invece immaginare quali possano essere le conseguenze sui nuovi equilibri di potere venutisi a creare dopo l’uscita di Geronzi dalle Generali e l’indebolimento della componente francese guidata da Vincent Bollorè. Anche il quadro politico è infatti fortemente mutato rispetto alla scorsa primavera. Allora a Palazzo Chigi c’era ancora Silvio Berlusconi e con lui, a tirare le fila dei rapporti tra il mondo politico e quello degli affari, Gianni Letta e l’ex ministro dell’Economia, Giulio Tremonti. La caduta del governo Berlusconi e l’arrivo dell’esecutivo tecnico guidato da Mario Monti, con un banchiere quale Corrado Passera alla guida del ministero dello Sviluppo sostenibile e con l’ex presidente dell’Antitrust, Antonio Catricalà (che in passato non è certo stato tenero con Mediobanca nelle sue decisioni) quale sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, ha fatto venire meno i vecchi punti riferimento del sistema. Senza che se ne siano consolidati ancora dei nuovi. La fine di questa vicenda è dunque ancora tutta da scrivere anche se viene difficile immaginare una Mediobanca soccombente. (riproduzione riservata)