Il nuovo Rapporto sul Bilancio del Sistema Previdenziale italiano (giunto alla sua dodicesima edizione e curato dal Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali) fornisce una visione d’insieme del complesso sistema previdenziale del nostro Paese, riclassificando la spesa per pensioni, così come quella per assistenza e delle altre principali voci che compongono il complesso welfare state italiano, all’interno del più ampio bilancio dello Stato, con previsioni per gli anni successivi e di medio-lungo periodo.
Dal report – commentato mercoledì nel corso del convegno di presentazione tenutosi a Roma, emerge come il numero di pensionati sia in aumento dai 16,131 del 2022 ai 16,230 milioni del 2023 (+98.743). Su 3,63 residenti italiani almeno uno è pensionato. Prosegue la netta risalita del tasso di occupazione, che a fine 2023 sfiorava il 62% e sale a quota 1,4636 il rapporto tra attivi e pensionati, che fa segnare il miglior dato di sempre nella serie storica tracciata dal Rapporto.
Quello che emerge è un sistema che regge, ma “la cui stabilità nei prossimi anni dipenderà sia dalla capacità di porre un limite alle troppe eccezioni alla riforma Monti-Fornero e all’eccessiva commistione tra previdenza e assistenza cui si è assistito negli ultimi anni, sia da quella di affrontare adeguatamente la transizione demografica in atto”.
Le prestazioni
Degli oltre 16 milioni di pensionati italiani il 51,6% è rappresentato da donne, che sono destinatarie dell’85,8% del totale delle pensioni di reversibilità (con quote della pensione diretta del dante causa variabili tra il 60% e il 30%, in base al reddito del superstite).
Quanto alle prestazioni pensionistiche, al 2023 ne risultano in pagamento 22.919.888, con una crescita di oltre 140mila trattamenti (+0,65%) rispetto alle 22.772.004 dello scorso anno. Si tratta di 17.752.596 prestazioni erogate nella tipologia IVS, cui vanno aggiunte 4.540.149 pensioni assistenziali INPS e 627.143 prestazioni indennitarie INAIL.
Rispetto al precedente Rapporto calano le pensioni indennitarie (-2,19%), mentre crescono sia le prestazioni IVS (+0,24%) sia quelle di natura assistenziale (+2,70%).
A prescindere dalla tipologia, in media, ogni pensionato riceve 1,421 prestazioni. Ciò significa che è in pagamento una prestazione ogni 2,574 abitanti, vale a dire circa una per famiglia.
La spesa per prestazioni sociali
Nel 2023 l’Italia ha complessivamente destinato a pensioni, sanità e assistenza 583,712 miliardi di euro, con un incremento del 4,32% rispetto all’anno precedente (24,2 miliardi): la spesa per prestazioni sociali ha assorbito oltre la metà di quella pubblica totale, il 50,93%.
Percentuale inferiore rispetto al 2022 (51,65%) ma soprattutto per effetto del notevole incremento delle spese in conto capitale. Rispetto al 2012, e dunque nell’arco di poco più di un decennio, la spesa per welfare è aumentata di 151,448 miliardi strutturali (+35%); aumento ascrivibile soprattutto agli oneri assistenziali a carico della fiscalità generale, cresciuti del 137,25% (+78 miliardi) a fronte dei “soli” 56 miliardi della spesa previdenziale (+26,53%) e del 29,26% del nostro Prodotto Interno Lordo.
Il saldo – comunque negativo – tra entrate e uscite si attesta a 30,42 miliardi: a pesare sul deficit del sistema pensionistico soprattutto il disavanzo della gestione dei dipendenti pubblici, che evidenzia da sola un passivo di oltre 44 miliardi (erano 33 prima della pandemia). Seguono per dimensione dei disavanzi, artigiani, coltivatori diretti coloni e mezzadri, e giornalisti dipendenti che, pur confluiti in INPS, mostrano uno dei loro peggiori saldi di gestione (-272,28 milioni).
Quattro le gestioni obbligatorie INPS con saldi positivi: i lavoratori dipendenti che – al netto delle gestioni speciali poi confluite nel FPLD – presentano un attivo di 15,107 miliardi di euro; i commercianti, con un attivo di 1,154 miliardi; i lavoratori dello spettacolo ex ENPALS, con 468,71 milioni di euro, e la Gestione Separata dei lavoratori parasubordinati.
Positivo anche il saldo previdenziale delle Casse privatizzate dei liberi professionisti che, giovando come i subordinati di un buon rapporto attivi/pensionati, sale a 4,318 miliardi di euro. L’apporto complessivo delle gestioni attive, pari a 29,675 miliardi, risulta dunque essenziale per il contenimento del deficit pensionistico che, diversamente, supererebbe i 60 miliardi di euro.
L’assistenza si conferma ancora una volta il vero tallone d’Achille della spesa per protezione sociale italiana. Tra le possibili soluzioni individuate dal Rapporto, oltre alla messa in moto della banca dati, anche una profonda revisione dell’ISEE e controlli fiscali e contributivi più serrati. Alla stretta sull’assistenzialismo andrebbero poi affiancati concreti interventi sul nostro mercato del lavoro, rafforzando formazione, politiche attive e strumenti di incontro tra domanda e offerta.
Secondo il rapporto è necessario limitare, davanti a un’aspettativa di vita sempre più elevata, le troppe forme di anticipazioni di questi ultimi anni a pochi ma necessari strumenti, come fondi esubero, isopensione e contratti di solidarietà (riportando però l’anticipo a un massimo di 5 anni), prevedendo viceversa incentivi – come il cosiddetto superbonus – per chi volontariamente desidera restare al lavoro fino ai 71 anni di età.
I trend demografici impongono però, secondo il Professor Brambilla, un ripensamento del welfare a tutto tondo, tanto più che vincoli economici e di finanza pubblica impediranno ulteriori grossi aumenti della spesa per protezione sociale malgrado le pressioni legate all’invecchiamento della popolazione. «Serve una più forte integrazione tra pubblico e privato – ha concluso il Presidente del Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali – per arrivare al welfare mix che ormai caratterizza la maggior parte dei Paesi ad alto e medio reddito. Eppure, la politica resta diffidente nei confronti di quelle tutele complementari che potrebbero allentare la pressione sul sistema pubblico (e in particolare sul SSN): basti pensare che anche la Legge di Bilancio per il 2025 non ha previsto alcuna agevolazione per i fondi pensione né tantomeno per prestazioni LTC e fondi socio-sanitari cui risultano oltretutto già iscritti oltre 16,5 milioni di italiani».