I DATI NEL REPORT DOMINA. QUATTRO MILIONI TRA DATORI E OPERATORI PER UNA SPESA DI 15 MILIARDI
di Michele Damiani
Lavoro domestico meno irregolare, anche se ancora nettamente in cima alla classifica dei settori più critici, con un tasso di irregolarità del 52,3% (il secondo, l’agricoltura, si attesta poco sotto al 25%). Gli aumenti retributivi non fermano la crescita del comparto, che tra datori e operatori (regolari e irregolari) coinvolge oltre 4 milioni di persone, con una spesa superiore ai 15 miliardi per le famiglie. Sono alcuni dei numeri contenuti nel quarto rapporto annuale sul lavoro domestico realizzato dall’associazione Domina e presentato il 20 gennaio al Senato.
Irregolarità in calo, ma ancora elevata. L’indagine, quindi, attesta il permanere delle criticità del lavoro domestico, analizzando anche il trend degli ultimi anni. Dopo la sanatoria del 2012 il tasso di irregolarità è continuato a crescere, raggiungendo il suo picco nel 2019. È stata la pandemia a invertire l’andamento; alcune misure straordinarie, tipo «la procedura di emersione, il bonus baby sitter ma non solo», hanno portato alla regolarizzazione di alcune posizioni e all’aumento delle percentuali. Il comparto però, come detto, «è nettamente al comando della triste classifica dei settori per tasso di irregolarità (52,3%), contro una media nazionale del 12,0%. I lavoratori domestici totali sono circa due milioni, di cui meno della metà in regola. Considerando anche i datori di lavoro, il settore comprende oltre quattro milioni di soggetti», si legge nel report. In merito alle motivazioni, secondo gli analisti «oggettivamente, il lavoro domestico presenta alcune caratteristiche strutturali per cui non è facile effettuare controlli capillari. Uno fra tutti, il fatto che il luogo di lavoro coincida con l’abitazione del datore di lavoro (e non è pensabile effettuare controlli casa per casa)». Un’altra conferma arriva dai metodi di pagamento utilizzati per remunerare gli operatori; nel 39% dei casi, infatti, si utilizzano i contanti e nel 32,5% viene indicata la voce «variabile». Il 26,1% paga tramite bonifico e solo il 2,4% con assegni.
Di contro, però, quando il lavoro è in regola tendenzialmente non è precario: il 93% dei contratti è infatti a tempo indeterminato e la loro durata supera i cinque anni nel 63,4% dei casi.
I numeri. Oltre dall’elevata irregolarità, il lavoro domestico è caratterizzato da un altro aspetto, ovvero gli alti tassi di crescita. Nel 2021 si contano oltre 960 mila lavoratori (regolari), con un aumento del 12% rispetto al 2019. Un settore caratterizzato da una forte presenza straniera (70% del totale), soprattutto dell’Est Europa, e da una prevalenza femminile (85%), «anche se negli ultimi anni si è registrato un aumento sia degli uomini che della componente italiana». Domina stima la presenza di un altro milione di irregolari, per un totale di lavoratori che supera quindi i due milioni.
In crescita anche il numero di datori di lavoro; quelli regolari sono più di un milione (108 ogni 100 lavoratori), con un aumento del 4,4% rispetto al 2020 e del 13,3% rispetto al 2019. Considerando anche gli illegittimi, il totale di datori in Italia è superiore ai 2,1 milioni. Oltre quattro milioni di persone, quindi, per una spesa delle famiglie di 15 miliardi. Il settore ha contribuito nel 2021 alla creazione di 17,6 miliardi di valore aggiunto, pari all’1,1% del Pil. Ciò ha determinato un risparmio di 10,1 miliardi per le casse dello Stato (0,6% del Pil), «ovvero l’importo di cui lo Stato dovrebbe farsi carico se gli anziani accuditi in casa venissero ricoverati in struttura».
Ore lavorate e specificità regionali. Nella parte finale, la ricerca analizza le differenze dei numeri tra le varie regioni, con un focus sulle ore lavorate. La sanatoria, ad esempio, «sembra aver terminato il suo impatto, in particolare in Molise (-2,7%), In Umbria (-2,2%) e Sicilia (-1,9%). Mentre aumenti ancora importanti si sono registrati in Puglia (+6,2%), Lombardia (+4,2%) ed Emilia-Romagna (+4,1%)». In media le ore lavorate sono 27 a settimana, con valori più alti nelle regioni del Nord (dove è maggiore la presenza di badanti): «ne sono un esempio la Valle d’Aosta (35,5 ore) ed il Trentino-Alto Adige (33,7 ore)». In Sardegna non si superano le 18 ore settimanali (17,4). Il 45% dei lavoratori ha un’occupazione continuativa, visto che dichiara oltre 50 settimane di lavoro ed il dato è in crescita (+16,2%). Sono invece in diminuzione i lavoratori impiegati per poche settimane. La maggior parte dei datori di lavoro è di genere femminile (+56,1%), in particolare in Valle d’Aosta il valore arriva al 66,8%, mentre è il Veneto la regione con il maggior numero di datori di lavoro «maschi» (49,1%).
Il 93% dei datori di lavoro domestico è di nazionalità italiana. La regione con il maggior numero di datori di lavoro stranieri è la Lombardia (12,0%), seguono il Trentino (11,1%) ed il Veneto (11,4%). Quasi inesistente, infine, la componente straniera in Basilicata (1,5%).
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