È nel mezzo delle difficoltà che nascono le migliori opportunità. La citazione è di Albert Einstein ma si addice perfettamente all’Italia di oggi, alle prese con rischi di recessione, ripresa dell’inflazione e venti di guerra, dice Fabio Cerchiai che da ottobre è tornato alla presidenza di Febaf (Federazione banche, assicurazioni e finanza). «Viviamo in uno scenario complesso. Ma sono ottimista ed è in questi momenti difficili che bisogna avere il coraggio e una visione di medio lungo termine per non limitarsi a risolvere le emergenze contingenti ma guardare a come cambierà la società nel giro di 5 o 10 anni. Il settore finanziario è pronto, compatto, a dare il suo contributo al Paese per affrontare insieme le grandi questioni strutturali, dall’invecchiamento della popolazione al cambiamento climatico», aggiunge il manager. In questi anni Cerchiai ha ricoperto ruoli di vertice nelle più importati realtà italiane: da Generali (fino a diventarne amministratore delegato per l’Italia), alla presidenza di Ina Assitalia e di Ania oltre che di Atlantia, Autostrade e UnipolSai (attualmente ne è vice presidente), incarico tuttora ricoperto. Ora il ritorno al vertice della Febaf, la federazione nata nel 2008 tra Abi e Ania, di cui era stato il primo presidente e che ha guidato di nuovo nel biennio 2012-2014. Una Federazione che oggi ha una rappresentanza decisamente più ampia: negli anni alle associazioni federate si è aggiunta l’Aifi, che rappresenta il settore del private equity, e si sono associate anche Adepp, Aipb, Anfir, Assofiduciaria, Assofin, Assogestioni, Assoprevidenza, Assoreti, Assosim e Confindustria Assoimmobiliare. In pratica l’intera industria finanziaria italiana converge in Febaf che è pronta ora a dare un contributo concreto ai grandi temi economico-sociali che caratterizzano l’Italia, come spiega in questa sua prima intervista da presidente Febaf rilasciata a MF-Milano Finanza. L’ambizione è far decollare anche in Italia quel sistema Paese che altrove, basti pensare alla Francia, ha dimostrato di funzionare bene, lavorando per realizzare obiettivi condivisi.
Domanda. Quali sono le proposte che intendete fare presidente?
Risposta. Il contesto socio-economico è particolarmente complesso. L’inflazione ha raggiunto livelli che qualche hanno fa sembravano impensabili, c’è il rischio di una recessione e la guerra nel cuore dell’Europa sta avendo pesanti impatti internazionali, e innanzitutto di vite umane. Per risolvere l’emergenza è giusto che il governo intervenga per limitare nell’immediato gli effetti del caro carburante per esempio, o sostenendo le imprese per far fronte alla pandemia. Ma, oltre a questo, ci sono cambiamenti di fondo che chi ha responsabilità politico-economiche non può ignorare. Come l’invecchiamento della popolazione, per esempio, che richiede un ripensamento del sistema di welfare, o l’assetto sociale che riguarda il benessere dell’intera collettività. Noi siamo pronti a dare il nostro contributo concretamente.
D. Riuscirete a creare una voce sola dalle tante associazioni che sono arrivate in questi anni a far parte di Febaf?
R. Abbiamo già un piano di azione condiviso con le nostre associate ma la sfida è ben più ampia. Vogliamo allargare la discussione anche al settore industriale e delle imprese in generale perché solo mettendo insieme tutte le forze si possono affrontare questioni sociali globali che, tra l’altro, non riguardano solo l’Italia. La finanza non è certo conflittuale con l’intero sistema delle imprese e anzi si può lavorare insieme e l’interesse individuale, se si lavora per fare sistema, può coincidere con quello collettivo, eliminando inutili antagonismi.
D. Il governo, con il patto della terza età lanciato giovedì 19, un piano per prendersi cura degli anziani a 360 gradi, sembra ben intenzionato ad affrontare questioni strutturali per il Paese. Avete avviato il dialogo con loro?
R. Il confronto è aperto. il governo ha un ruolo determinante per affrontare le sfide sociali , ma le risorse pubbliche sono necessariamente limitate e il settore privato, collaborando con lo Stato, può svolgere una funzione dì complementarietà, come avviene per esempio nel settore sanitario, con le polizze o i fondi sanitari, o in quello previdenziale. Il servizio sanitario nazionale è una virtù dell’Italia ma con l’invecchiamento della popolazione non può più farcela da solo. Si può fare molto di più, nell’interesse comune, dialogando con le parti sociali. Vogliamo coinvolgere anche il sindacato nel dibattito, perché la contrattazione collettiva è uno strumento fondamentale per la diffusione del welfare. Per esempio per quanto riguarda la long term care (le coperture per la non autosufficienza, ndr) che in Italia sono praticamente assenti ma sono sempre più indispensabile con l’invecchiamento della popolazione.
D. Avete già qualche proposta concreta?
R. Ci stiamo lavorando. Vengo dall’impresa e sono abituato a misurare i risultati. Abbiamo avviato i tavoli, per esempio con Confindustria, in tema di finanza d’impresa. Per capire come muoversi possiamo guardare anche alle esperienze positive di altri Paesi, con una visione europea che è necessaria. Per questo abbiamo aperto una sede anche a Bruxelles. Le faccio l’esempio delle residenze sanitarie. L’Italia è tra i paesi con il più alto tasso di risparmio. Si potrebbero immaginare incentivi fiscali per il risparmio finalizzato ad investimenti di lungo temine per creare nuove strutture, invogliando i privati a costruire e ad investire, e creando allo stesso tempo un impatto sociale positivo per il Paese.
D. Sono gli incentivi fiscali che chiedete al governo?
R. Non solo. Con il governo vanno condivisi gli obiettivi da raggiungere. Prima di tutto vale la pena ricordare che un incentivo fiscale, per un settore che deve nascere, rappresentano una fonte di entrata e non di spesa. Se gli incentivi fossero utili a creare per esempio un mercato delle long term care lo Stato potrebbe incassare nuove entrare, con un beneficio per l’intera collettività. Un discorso che potrebbe valere anche per le polizze sanitarie a vita intera, in modo da favorirne una larga diffusione, come in altri Paesi europei. Anche le garanzie pubbliche, usate durante la pandemia, potrebbero essere ripensate per indirizzare investimenti utili a scopo sociale. Penso per esempio alla questione delle catastrofi naturali. Senza la politica l’industria, la finanza e i sindacati possono già iniziare a fare molto ma penso sia arrivato il momento di una nuova alleanza tra pubblico e privato, che si fondi nel comune interesse della crescita sostenibile. (riproduzione riservata)
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