di Anna Messia
L’investimento di Mediobanca in Generali è stato vincente, come sarebbe vincente che il presidente del consiglio, Mario Draghi, restasse ai vertici dello Stato ancora per anni, mentre per quanto riguarda la definizione della nuova governance del Leone si tratterà di «un test per la maturità del capitalismo italiano». In un’intervista al Financial Times l’amministratore delegato di Mediobanca, Alberto Nagel, ha parlato apertamente delle partite cruciali per il Paese, che si stanno definendo in queste settimane. Non sono quella politica, per la nomina del nuovo presidente della Repubblica, ma anche quella finanziaria, con la nuova governance di Generali che sarà definita con l’assemblea del 29 aprile, che lo vede coinvolto in prima linea. Il riassetto della prima compagnia italiana, lascia intendere il numero di Piazzetta Cuccia, sarà una prova d’esame per l’intero Paese. Mediobanca, come noto, è azionista del Leone Alato con una quota del 17% (di cui circa il 4% in prestito) ed è contrapposta al fronte dei pattisti, Francesco Gaetano Caltagirone, Leonardo Del Vecchio e Crt, arrivati ad oltre il 16% ma pronti a salire ancora, che lavorano ad una lista alternativa a quella del consiglio di amministrazione, appoggiate da Mediobanca, e vogliono proporre un group ceo differente da Philippe Donnet. «L’investimento di Generali contribuisce in modo apprezzabile ai nostri obiettivi finanziari e presenta un ritorno nettamente superiore al nostro costo del capitale», ha spiegato Nagel, sottolineando appunto come in questo momento vi siano «una serie di importanti» decisioni «che saranno un test per la maturità del capitalismo italiano». Un messaggio rivolto soprattutto ai fondi soci del Leone che, con una quota del 35% delle azioni di Generali, potrebbero decidere la partita della governance della compagnia. «L’Italia», ha aggiunto Nagel «deve mettersi al passo con le pratiche di governance favorite dai mercati internazionali per rendere il Paese più appetibile per gli investimenti».
In questo caso il richiamo specifico è appunto alla lista del board, al centro del contendere in Generali. Una pratica molto diffusa all’estero (articolo qui sopra) e molto apprezzata dagli investitori istituzionali che era stata votata dagli stessi azionisti pattisti, che poi hanno però deciso di contrastarla. Per diventare «business friendly» l’Italia «deve recuperare un sistema di governance che renda il Paese più attrattivo per gli investimenti e deve portare a termine importanti riforme, ha aggiunto Nagel: quella della concorrenza, della giustizia, della pubblica amministrazione. Riforme strutturali e non più rimandabili, ha chiarito il manager definito al Financial Times come colui che ha «modernizzato la banca che per decenni è stata al centro della finanza italiana». Il Recovery fund può essere un «game changer» in termini di una crescita economica ulteriore, un fattore decisivo per un Paese altamente indebitato ha poi spiegato aggiungendo che sarà una garanzia di successo il fatto che Mario Draghi «rimanga in un ruolo istituzionale di primo piano per i prossimi anni». (riproduzione riservata)
La lista del board è la prassi tra 50 blue chip in Europa
Quarantacinque delle 50 società dell’EuroStoxx50, indice europeo delle 50 società a maggior capitalizzazione, adottano la prassi della presentazione della lista da parte del board uscente. E delle 5 che non lo adottano 3 sono italiane. Dati emersi dall’analisi realizzata da Massimo Belcredi (professore di Finanza aziendale presso l’Università Cattolica) nell’ambito del «richiamo di attenzione» lanciato dalla Consob prima di Natale sulle liste del cda e che sostanziano le parole dell’amministratore delegato di Mediobanca, Alberto Nagel, che nell’intervista al Financial Times (vedasi altro articolo in pagina), quando, riferendosi implicitamente al caso Generali, dove la lista del board ha generato lo scontro con i pattisti, afferma che «l’Italia deve mettersi al passo con le pratiche di governance favorite dai mercati internazionali per rendere il Paese più appetibile per gli investimenti». Sulle liste del cda, come noto, venerdì 21 ha fatto definitivamente chiarezza Consob, riconoscendole la legittimità e pubblicando la versione definitiva del «richiamo di attenzione». Un testo che, come anticipato da MF-Milano Finanza, ha in larga parte confermato gli orientamenti emersi a fine 2021, che invitavano a dare più spazio agli indipendenti nel comitato ad hoc sulla lista. La lista non deve pregiudicare la nomina di consiglieri minoranza e, per evitare il «concerto», i rappresentanti degli azionisti che presentano una lista alternativa, devono astenersi dal partecipare alla selezione dei candidati della lista del cda, ha poi aggiunto Consob. Un nodo che in Generali è stato di fatto risolto dopo l’uscita dal cda di Francesco Gaetano Caltagirone e di Romolo Bardin, rappresentante di Leonardo Del Vecchio. In campo, su Generali, c’è anche Ivass che venerdì, secondo quanto risulta a MF-Milano Finanza, ha incontrato i vertici della compagnia. Un incontro in calendario da tempo ma nel corso del quale si sono inevitabilmente affrontati anche gli ultimi avvenimenti, a partire proprio dalle dimissioni in polemica dei due consiglieri. (riproduzione riservata)
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