Nelle vicende della finanza, si sa, tutto muta molto rapidamente. Nei mesi scorsi il mercato era pronto a scommettere che il nuovo grande polo bancario italiano sarebbe nato attorno all’Unicredit di Andrea Orcel attraverso le nozze con Mps. A cavallo dell’estate il progetto ha goduto di ampi consensi, trovando favorevoli molti soci storici della banca milanese tra cui le fondazioni e, vinte alcune forti perplessità iniziali, Leonardo Del Vecchio (primo azionista di Mediobanca al 18,9% e terzo socio delle Generali al 6,6%). Oltre al maggior radicamento in Italia e alla cospicua dote del resto l’intervento avrebbe garantito a Unicredit la copertura politica indispensabile per mandare in buca operazioni ancora più ambiziose, come un’incursione su quelle Generali che erano e restano il vero obiettivo strategico di Orcel. Il deal però non c’è stato. Non tanto per problematiche di natura finanziaria, quanto per le perplessità del Partito Democratico di Enrico Letta (sempre ben consigliato da Giuseppe Guzzetti) e del premier Mario Draghi. Se per ora la lente di Unicredit si è spostata verso l’estero (dalla russa Otkritie alla svizzera Crédit Suisse), un nuovo polo sta prendendo forma intorno a Bper, attualmente in due diligence per acquisire Carige. Dopo un testa a testa con Cerberus-Desio e soprattutto con il Crédit Agricole, lunedì 10 Modena è riuscita ad aggiudicarsi l’esclusiva mentre l’accordo definitivo è atteso entro il 15 febbraio. Se molti passaggi devono ancora essere espletati, in pochi dubitano che il deal sia ormai cosa fatta. La conseguenza sarà il rafforzamento di un gruppo che, con ulteriori operazioni straordinarie, potrebbe dar vita a quel terzo polo su cui si discute ormai da anni. La sua nascita è stata per esempio auspicata dal presidente di Intesa Sanpaolo Gian Maria Gros-Pietro: «In Italia ci sono già due grandi banche che sono Intesa e Unicredit e a nostro avviso c’è spazio almeno per una terza grande banca italiana con azionariato italiano», aveva commentato il professore in occasione del Forum Ambrosetti. Un concetto ribadito più di recente sia dallo stesso Gros-Pietro, sia da altri banchieri. Le conseguenze del deal peraltro potrebbero non essere solo di natura industriale. Il blitz su Carige conferma l’asse di Bper-Unipol con la Mediobanca di Alberto Nagel che è stata advisor finanziario dell’operazione e che vede nel ceo di via Stalingrado Carlo Cimbri un interlocutore privilegiato sin dai tempi del salvataggio di Fonsai. L’asse si conferma rilevante soprattutto in questa fase in cui, incalzata da Del Vecchio e Francesco Gaetano Caltagirone sul fronte Generali, piazzetta Cuccia potrebbe ritenere molto prezioso il sostegno di Unipol (azionista con una quota oggi di poco inferiore al 2%). In attesa di capire cosa accadrà nella Galassia del Nord comunque la costruzione del terzo polo andrà avanti. Per prima cosa Bper dovrà concludere l’acquisto di Carige. L’obiettivo, come detto, è arrivare a un accordo entro il 15 febbraio per poi avviare l’iter autorizzativo con la Bce per il passaggio della quota di controllo della banca genovese. Nel frattempo si apriranno i canali anche con Consob per l’opa residuale che Modena lancerà sul 20% del capitale di Carige che oggi non è detenuto dal Fitd. Come comunicato nei giorni scorsi l’offerta avrà luogo a 0,8 euro, prezzo al quale si sono rapidamente allineate le azioni del gruppo diretto da Francesco Guido.
Dopo l’opa e il probabile squeeze out, nella seconda metà dell’anno si deciderà se procedere a una fusione di Carige in Bper o se mantenere il gruppo genovese autonomo per qualche tempo. E poi? C’è chi è pronto a scommettere che lo shopping su Carige sia il primo tassello di un puzzle più ampio che comprende altre mosse, a partire da un possibile acquisto della Popolare di Sondrio di cui Unipol detiene circa il 9%. La trasformazione dell’istituto valtellinese in spa «avverrà adesso e il management ragionerà su quali alternative poter proporre ai suoi azionisti», aveva dichiarato Cimbri alla vigilia del cambio di governance della Sondrio avvenuto a fine dicembre. Al momento insomma le indicazioni che arrivano sono chiare: Bologna preferisce restare alla finestra e seguire gli sviluppi. Già dai prossimi mesi però gli scenari potrebbero cambiare. Se Sondrio starebbe interloquendo con diversi advisor per decidere che strategia seguire (tra gli altri si fa il nome del professor Angelo Provasoli), Unipol potrebbe scegliere di portare la partecipazione oltre il 10%, secondo una strategia già seguita negli anni scorsi in Bper. A quel punto ovviamente la quota diventerebbe una qualifying holding e servirebbe il via libera preventivo da parte di Bce.
Un altro target possibile è Mps o, almeno, alcuni selezionati asset della banca senese. Fonti vicine al Tesoro garantiscono che, sebbene il governo stia trattando con la Ue per una proroga del regime di nazionalizzazione, il lavoro attorno alla exit da Siena non si interromperà. Il nome che il Mef ha in mente è, ancora una volta, quello di Unicredit, ma altri potrebbero candidarsi tra cui per l’appunto il terzo polo a trazione Bper-Unipol. Queste ipotesi sono guardate con favore da alcune grandi banche, a partire appunto da Intesa, ma altrove creano qualche mal di pancia. Non è un mistero per esempio che per diversi istituti medi la rapida crescita di Modena sia oggi un fenomeno inaspettato che rischia di complicare i progetti di espansione dei competitor.
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