Paola Valentini
L’inflazione corre veloce ma i fondi pensione nel 2021 hanno corso di più. Lo scorso anno il trattamento di fine rapporto (tfr) tenuto dai lavoratori in azienda si è rivalutato del 3,62% netto, in deciso aumento rispetto al passato (+1,25% nel 2020). Mai negli ultimi 20 anni aveva raggiunto un valore così elevato e questo è accaduto per via dell’impennata dei prezzi al consumo che hanno raggiunto a dicembre il +3,9%. Ciò perché la liquidazione si rivaluta ogni anno in misura pari al 75% dell’indice di inflazione Istat più un 1,5% fisso. Nel frattempo, grazie al rally dei mercati, i fondi pensione negoziali hanno messo a segno un rendimento netto del 4,69%, come emerge dai dati raccolti da MF-Milano Finanza presso i singoli comparti di categoria. I fondi pensione aperti, dal canto loro, hanno avuto un incremento medio netto del 4,75% (dati Fida). Il 2021 quindi si è chiuso a favore della previdenza complementare. Ma è certo che, se l’inflazione dovesse continuare a salire e i mercati non fossero così brillanti come nel 2021, per i gestori previdenziali diventerebbe più difficile superare l’asticella del tfr, come ha suggerito l’analisi realizzata da smileconomy per MF-Milano Finanza dello scorso 15 gennaio che ha elaborato a seconda dei possibili scenari di inflazione (all’1%, 3% e 5%) quale deve essere il rendimento minimo che i fondi pensione devono registrare per pareggiare il risultato del tfr. «Il 2021 è stato in crescendo, ma il 2022 nasce sotto il segno dell’inflazione», afferma Paolo Stefan, direttore di Solidarietà Veneto, il fondo pensione negoziale dedicato ai dipendenti delle aziende venete. In attesa di verificare come evolverà l’inflazione e se la fiammata di questi ultimi mesi sia temporanea o duratura , i dati 2021 confermano l’andamento positivo del lungo periodo: dal 2001 al 2020 (20 anni) i negoziali hanno fatto il +3% medio annualizzato a fronte del 2% del tfr e gli aperti hanno pareggiato (+2%), a dieci anni (2011-2020) i negoziali hanno fatto +3,6%, gli aperti +3,7% rispetto al +1,8% del tfr (dati Covip). E i fondi pensione sono riusciti ad avere la meglio pur subendo una tassazione maggiore (i rendimenti oggi scontano un’aliquota del 20%, anche se all’origine era dell’11%, rispetto al 17% della rivalutazione della liquidazione).
Passando dai dati medi a quelli sui singoli comparti, nel 2021 sulle 98 linee di 33 fondi negoziali analizzati, quasi il 60% (57 linee) ha ottenuto un risultato superiore al 3,62% netto del tfr con performance a doppia cifra tra le migliori, naturalmente questo è accaduto tra le azionarie. Primo è il comparto Azionario di Mediafond (il fondo dei lavoratori di imprese radio televisive e dello spettacolo) con il 20,84% nel 2021, seguito dalla linea Espansione (14,5%) di Fondosanità ( dedicato alle professioni sanitarie) e dal Dinamico di Alifond (industria alimentare) con il 12,43%. In coda alla classifica ci sono invece i profili più prudenti come i garantiti che hanno sofferto per via dei tassi ai minimi dato che questi portafogli investono prevalentemente in titoli di Stato per poter offrire la garanzia del capitale investito. Tra i fondi pensione aperti, circa una metà delle linee sul mercato (146 su 315) hanno reso più del 3,62% del tfr. E anche in questo caso si sono messe in evidenza quelle più esposte alle azioni con risultati che anno sfiorato il 20%: Eurorisparmio Azionario Internazionale A di Sella sgr ha fatto il 19,9%, Allianz Insieme Linea Azionaria il 19,38% e Reale Teseo Linea Sviluppo Etica A di Reale Mutua il 18,71%.
«Sono ormai 120 mila i risparmiatori veneti associati al fondo regionale, segno dell’apprezzamento per il servizio erogato, ma anche per le performance finanziarie, il cui ordine di grandezza, nel 2021, replica sostanzialmente quello del 2020 e del 2019», rileva Stefan, «nel 2021 il positivo andamento che ha contraddistinto i mercati azionari e obbligazionari è stato oltretutto amplificato dalla capacità dei gestori di individuare le asset class migliori, giungendo quasi sempre a realizzare performance superiori ai benchmark». Ma ora il rally dell’ultimo anno e mezzo sta mostrando segni di rallentamento. «L’inflazione e la possibile risalita dei tassi penalizzerebbe il valore delle obbligazioni. Anche i prezzi delle azioni, che tante volte hanno ritoccato i massimi nell’anno passato, potrebbero risentirne», avverte Stefan, che però rassicura sulle capacità di tenuta del risparmio previdenziale «criticità maggiori potrebbero colpire il risparmio di breve termine; i fondi pensione, contraddistinti da una dimensione patrimoniale rilevante, possono invece esprimere ancora un interessante potenziale sul lungo termine. Lo scenario inflattivo è sfidante ma, tenendo conto di tali elementi e della protezione contrattuale e fiscale che caratterizza la previdenza complementare, riteniamo che il futuro possa riservare ancora soddisfazioni per il risparmiatore di lungo periodo».
Emblematico il caso di Fopen, il fondo pensione dei dipendenti del gruppo Enel, che a fine dicembre 2021 ha raggiunto i 2,74 miliardi di asset, +10% rispetto al 2020 da attribuire alla gestione finanziaria positiva per circa 195 milioni e ai flussi contributivi netti per 65 milioni, grazie anche all’incremento del numero di iscritti di circa mille unità (a 47.265) rispetto a fine 2020. Nel 2021 Fopen ha realizzato i risultati tra i più brillanti dalla sua nascita: la linea obbligazionaria garantita ha fatto il +0,22%, con un +30,04% dall’inizio della gestione nel marzo 2006, il Bilanciato Obbligazionario ha fatto il +6,34% (+113,6% dall’avvio nel giugno 2003) e il Bilanciato Azionario ha segnato il +11,79%, con un +141,1% dalla nascita sempre nel giugno di 19 anni fa. «A parte il comparto Garantito, risultato in linea rispetto al proprio benchmark, il Bilanciato Obbligazionario e il Bilanciato Azionario hanno registrato extra-rendimenti largamente positivi rispetto ai loro indici grazie alle buone decisioni di investimento dei diversi gestori, ma anche alle tempestive azioni di ribilanciamento tra le varie asset class del fondo poste in essere dal cda a più riprese nell’anno», spiegano da Fopen. Tra le principali novità che hanno riguardato la gestione finanziaria del fondo nel 2021 ci sono l’avvio del mandato di private debt e la partecipazione al Progetto economia reale, promosso da Assofondipensione e Cdp.
Quest’ultimo prevede l’investimento congiunto, sia da parte di Cdp che dei negoziali, nel fondo di fondi di private equity, gestito da Fondo Italiano d’Investimento sgr, che seleziona e sottoscrive quote dei fondi di private equity italiani che investono direttamente nel capitale delle aziende manufatturiere del Paese. «È un’iniziativa che coniuga l’esigenza dei fondi pensione di ricercare le migliori opportunità di investimento e di diversificarne i rischi, con quella di supporto e stimolo all’economia italiana», spiega Fopen.
Intanto Cometa, il maggior fondo pensione in Italia con un patrimonio di oltre 13 miliardi e 450 mila iscritti, ha distribuito tra gli aderenti per il 2021, in base all’anzianità di contribuzione, 9 milioni di avanzo, frutto dell’efficienza della gestione. La decisione rientra nella natura negoziale di Cometa, quale associazione senza scopo di lucro. Infatti il valore del ter (total expense ratio) di Cometa, l’indicatore che rappresenta tutti i costi di gestione finanziaria e amministrativa sostenuti in un anno (a eccezione degli oneri di negoziazione e fiscali) in percentuale del patrimonio, è sceso da 0,77% nel 1999 a 0,09%. «Ora siamo al lavoro per ridefinire i comparti di investimento, in modo da soddisfare sempre meglio le esigenze di rendimento degli aderenti. Continueremo a operare nel 2022 per rendere Cometa uno strumento previdenziale più diffuso, in particolare tra i giovani, e capace di dare una risposta al passo coi tempi alle diverse esigenze dei lavoratori», spiega Riccardo Realfonzo, presidente di Cometa. Su tale fronte proprio in queste settimane sindacati e governo si stanno confrontando per la possibile riapertura di un nuovo semestre di silenzio-assenso, sulla falsariga di quello del 2007, che potrebbe dare un’ulteriore sostegno alla costruzione di un’adeguata pensione di scorta in una fase di ripresa del Paese dalla pandemia. (riproduzione riservata)
Attesa per un nuovo silenzio-assenso
di Carlo Giuro
La strategia previdenziale del governo si articola in due fasi con differenti modalità e tempistiche di intervento. E’ stato varato in primo luogo un pacchetto di misure inserite nella Legge di Bilancio che hanno l’obiettivo di fornire soluzione alla esigenza di flessibilità in uscita con orizzonte temporale limitato a quest’anno per fare fronte al venir meno di Quota 100 che ha terminato la propria sperimentazione nel 2021. Si è allora introdotta (in aggiunta ai canali di uscita canonici di pensione di vecchiaia e pensione anticipata) per il solo 2022 Quota 102 (64 anni di età e 38 anni contributi). Sono state anche prorogate per un anno Opzione donna e Ape sociale. Si prevede poi un secondo passo a partire da un percorso di concertazione con i sindacati che ha l’obiettivo di delineare i contorni di un nuovo intervento di riordino strutturale, nel quadro del metodo di calcolo contributivo, che dovrebbe trovare confluenza nel prossimo Documento di Economia e Finanze. Il tavolo di lavoro si è aperto a fine 2021 e prosegue con altri due incontri che si terranno i prossimi 27 gennaio e 3 febbraio.
Quali sono le direttrici di marcia? Un primo profilo su cui già si è cominciato a discutere è quello legato alla pensione dei giovani e delle donne. Si ragiona in particolare sull’introduzione della pensione di garanzia per attenuare l’elevato rischio di inadeguatezza degli assegni delle giovani generazioni nel contributivo. Ulteriore tema riguarda i requisiti di accesso al pensionamento nel contributivo: per la pensione di vecchiaia è necessario non solo raggiungere il requisito anagrafico oggi di 67 anni e contributivo di 20 anni, ma avere anche maturato un assegno uguale o superiore a 1,5 volte la pensione minima, mentre per il pensionamento anticipato servono 64 anni con 20 anni di anzianità contributiva e un importo però di assegno uguale o superiore a 2,8 volte la pensione minima. Altro tavolo del confronto è poi quello legato alla flessibilità in uscita per individuare nuove soluzioni di pensionamento che sostituiscano quota 102. Da ultimo ma non per ultimo c’è un terzo tavolo specificamente focalizzato sul rilancio della previdenza complementare con un possibile nuovo semestre di silenzio assenso per l’adesione, come quello, l’ultimo, del 2007, ormai 15 anni fa. (riproduzione risrevata)
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