NEL GIORNO DELLA LONG LIST PER IL RINNOVO DOMINANO LE VOCI SULLE DIMISSIONI DI PUCCI
di Anna Messia
Nel giorno in cui il consiglio delle Generali era riunito per dare il via libera alla long list per il rinnovo della governance d’aprile, a tenere banco è stata una nuova possibile defezione tra i membri. Intenzionata a fare un passo indietro sarebbe Sabrina Pucci, consigliere indipendente considerata vicina a Crt. Voci che si sono rincorse in serata, con il cda terminato dopo che questo giornale è andato in stampa. L’uscita si aggiungerebbe a quella decisamente rumorosa del vicepresidente, Francesco Gaetano Caltagirone, che giovedì 13 aveva lasciato gli incarichi accusando il cda di non avergli consentito di esprimere il proprio contributo critico alla gestione della compagnia, di cui ha l’8%. Seguito poi, lunedì 17, da Romolo Bardin, ad di Delfin e rappresentante di Leonardo Del Vecchio (6,6%), che proprio insieme a Crt (1,538%) e a Caltagirone hanno raccolto le loro azioni in una patto (16,196%). Azionisti intenzionati a chiedere un cambio profondo di strategia per Generali, con una lista alternativa a quella che sta mettendo a punto il resto del consiglio, e soprattutto con un group ceo diverso da Philippe Donnet, che ha invece il sostegno degli altri consiglieri e soprattutto di Mediobanca che della compagnia detiene il 17,22% (di cui il 4,43% a prestito). A questo punto non sarebbe una sorpresa se anche il consigliere Paolo Di Benedetto, considerato vicino a Caltagirone, decidesse di uscire. Anche lui, insieme agli tre rappresentati già dimissionari, a fine settembre scorso aveva votato contro la proposta di una lista del cda (Pucci si astenne). Ma per ora è solo un’ipotesi. Resta comunque da capire se il cda dovrà essere chiamato a ricostituire il numero minimo di 13 consiglieri, previsto dallo statuto di Generali, o se potrà arrivare all’assemblea del 29 aprile con l’attuale assetto. Una questione tutta aperta, su cui si stanno confrontando studi legali di primissimo piano, complicata dal fatto che Pucci è anche membro del comitato nomine che ha un ruolo di primo piano in questa fase di messa a punto della lista del cda. In ogni caso, anche se dovesse essere chiamato a ricomporre il numero legale, il consiglio avrebbe mano libera nella cooptazione dei nuovi membri considerando che i consiglieri uscenti erano stati nominati all’interno della lista di maggioranza vicina a Mediobanca, e non tra la minoranza. L’operazione è intricata: difficile immaginare la disponibilità di candidati esterni alla compagnia per un incarico destinato a durare appena tre mesi, tra l’altro in un momento di tensione in consiglio, con il rischio di cause legali. Più probabile apparirebbe l’indicazione di candidati destinati poi a far parte anche della lista del consiglio, ma anche in questo caso la scelta tra la rosa non appare semplice. Intanto ieri il cda ha votato la long list, circa 25 persone, che contiene il 50% in più dei membri effettivi che andranno a comporre il prossimo cda e di cui farebbero parte, tra gli altri, il ceo Donnet, il presidente Gabriele Galateri di Genola, Diva Moriani, Ines Mazzilli, Clemente Rebecchini e Antonella Mei-Pochtler, attuali membri del consiglio. Passaggi che le autorità di controllo stanno seguendo con molta attenzione anche se finora, con poco attivismo. Proprio domani la Consob potrebbe finalmente rispondere pubblicamente ai quesiti sollevati da Caltagirone sulla procedura della lista del cda, dopo aver aperto una pubblica consultazione, mentre non ci sarebbe ancora risposta sull’altro nodo aperto dall’ingegnere, quello del prestito titoli usato da Mediobanca per accrescere i diritti di voto in assemblea. Proprio ieri, in Senato, il futuro commissario Consob Carlo Comporti ha sottolineato come «la velocità di saper fornire risposte e un quadro ex ante sufficientemente preciso è molto importante». In movimento pure Ivass che, come anticipato da MF-Milano Finanza, avrebbe già fissato per i prossimi giorni un incontro con i vertici della compagnia per chiedere chiarimenti sugli ultimi fatti, a partire dalle accuse di Caltagirone al cda. (riproduzione riservata)

BACKSTAGE
La tentazione di spostare la sfida su Piazzetta Cuccia
In queste prime settimane di gennaio la disfida tra i pattisti e Mediobanca per il futuro delle Generali si sta giocando nel board della compagnia guidata da Philippe Donnet. Con gli imprenditori e Crt oltre il 16% e piazzetta Cuccia attestata al 17,2% l’esito della partita rimane ancora incerto, anche perché gli istituzionali non si sono ancora formalmente espressi. Vero è però che Leonardo Del Vecchio e Francesco Caltagirone hanno ancora diverse frecce al proprio arco. I due grandi azionisti potrebbero ad esempio accelerare il ritmo degli acquisti o arruolare nuovi soci nel patto, portando così la partecipazione complessiva vicino alla soglia d’opa del 25%. Ma, almeno sulla carta, sono possibili strategie perfino più audaci. Già oggi Del Vecchio è primo socio di Mediobanca al 18,9%, mentre Caltagirone custodisce circa il 3% del capitale della merchant bank guidata da Alberto Nagel. Sinora i due imprenditori si sono mossi in punta di piedi ma, se il livello dello scontro dovesse salire, non si escludono sorprese clamorose anche su questo fronte. Tanto più che, come riportato da MF-Milano Finanza lo scorso 18 novembre, subito dopo l’estate Delfin (sempre ben consigliata da Sergio Erede) avrebbe iniziato a ragionare su un arrotondamento della quota di Mediobanca. Fin dove si potrebbe spingere? Tra le opzioni sul tavolo, si mormora nella City milanese, ci sarebbe anche il superamento della soglia d’opa e quindi il lancio di un’offerta pubblica. Il passo sarebbe impegnativo visto che, considerando un premio del 30% sui valori attuali del titolo, l’esborso complessivo potrebbe superare i 9 miliardi. Non noccioline anche per il Paperone d’Italia, ma non è tutto. Negli accordi presi nel 2020, Delfin si era presentata a Bce come investitore finanziario, un soggetto cioè che, pur prendendo parte alla vita societaria della partecipata, non è interessato a esercitare funzioni di controllo. In quella sede insomma la holding ha preso le distanze dalla strategia di un fondo attivista che, al contrario, il lancio di un’opa certificherebbe. Il piano appare insomma di difficile concretizzazione, ma si sa che le armi di ricatto non sono fatte per essere necessariamente usate. (riproduzione riservata)
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