UN NUOVO INDICE FED SVELA CHE PER VIA DELLA PANDEMIA LO STRESS SULLE CATENE DI FORNITURA È SCHIZZATO A 4,5 VOLTE SOPRA LA MEDIA
di Marco Capponi
Le pressioni sulle catene di fornitura globali, esasperate dall’emergenza Covid e dai prolungati periodi di lockdown e successivamente dal picco inflazionistico e dal rincaro delle materie prime, sono arrivate al loro massimo storico, lasciando ipotizzare d’altro canto un progressivo ritorno alla normalità a partire dai prossimi mesi. A lanciare il messaggio è stata la Federal Reserve di New York, che ha costruito un nuovo indice, svelato in un articolo pubblicato martedì 4 sul sito della banca centrale, pensato per calcolare il livello di stress cui è sottoposta la supply chain mondiale nel corso di una serie storica che va dal 1997 a oggi.
Lo strumento, messo a punto dal gruppo di statistica e ricerca formato da Gianluca Benigno, Julian Di Giovanni, Jan Groen e Adam Noble, si chiama Global Supply Chain Pressure Index (Gscpi) e le metriche in base alle quali è stato messo a punto consentono di quantificare il livello di pressione come deviazione standard rispetto al valore medio. L’indicatore incrocia due tipologie di dati. Da una parte i costi di trasporto transfrontaliero, che includono la spedizione di materie prime come carbone e acciaio, il tasso di aumento di nuovi container e la spesa per il trasporto di merci da e verso gli Stati Uniti. Dall’altra i dati manifatturieri dei Paesi, calcolati tramite gli indici Pmi. Gli esperti si sono focalizzati sulle aree del globo più interconnesse per quanto riguarda le catene del valore: Ue, Usa, Regno Unito, Cina, Giappone, Corea del Sud e Taiwan.
Quello che è emerso dai dati è che, prima del Covid, il periodo più complesso per la supply chain mondiale era stato il 2011 (deviazione di quasi due punti rispetto alla media). In quell’occasione a mettere in difficoltà le forniture globali erano stati due disastri naturali: il terremoto (e poi tsunami) di Tohoku, nel Giappone settentrionale, primario centro della produzione automobilistica nipponica, e le ripetute inondazioni in Thailandia, che hanno colpito sette dei principali distretti industriali di elettronica e mezzi di trasporto del Paese. Ancora, un altro momento critico è stato registrato nel 2017-18 (circa un punto sopra la media), quando le tensioni commerciali tra Usa e Cina hanno costretto molte imprese a modificare le loro strategie di approvvigionamento globale.
Nulla in confronto a quanto avvenuto con l’emergenza pandemica. Tra fine 2019 e inizio 2020, il periodo dei grandi lockdown in Cina, il Gscpi è schizzato a quattro punti sopra il valore medio. Una pressione mai vista prima per le catene di fornitura mondiali, data l’importanza che Pechino riveste a livello commerciale, industriale e di dotazione di materie prime. Tornato alla normalità in estate l’indice ha poi ripreso la sua corsa a fine 2020, per toccare i livelli record del 2021: una deviazione di oltre 4,5 volte sopra la media. Adesso però questo scenario potrebbe mitigarsi, hanno ipotizzato gli analisti, che non hanno però ancora fornito indicazioni sulle tempistiche di un ipotetico ritorno alla normalità. (riproduzione riservata)
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