di Daniele Cirioli
Riscossione sprint negli appalti pubblici. Infatti, la nuova diffida accertativa (riformata l’anno scorso proprio al fine di rendere più celere la soddisfazione dei crediti di lavoro da parte dei lavoratori) può essere adottata anche nei confronti della pubblica amministrazione, quando è committente di appalto se l’appaltatore non ha regolarmente pagato i lavoratori. A precisarlo, è l’ispettorato nazionale del lavoro nella nota n. 6/2021, aggirando i divieti posti dalle norme sulla responsabilità solidale (art. 29, dlgs n. 273/2003).
La nuova diffida. La legge n. 122/2020, si ricorda, dal 15 settembre, ha riformato la «diffida accertativa per crediti patrimoniali» con due principali novità: estensione dei destinatari (ora si applica anche ai soggetti che utilizzano le prestazioni di lavoro, da ritenere solidalmente responsabili dei crediti accertati; per cui, negli appalti e nella somministrazione di lavoro, la diffida è notifica sia al datore di lavoro diretto sia al responsabile in solido, cioè al committente, cui il lavoratore può rivolgersi indifferentemente); eliminazione della necessità del decreto del direttore Itl per dare efficacia di titolo esecutivo: trascorsi 30 giorni, la diffida l’acquista automaticamente.
P.a. come datore di lavoro. Le novità hanno fatto sorgere perplessità circa la possibilità di adottare la diffida nei confronti delle p.a., sia in qualità di datore di lavoro rispetto ai propri dipendenti, sia in qualità di responsabile solidale in appalti. In via di principio, spiega l’Inl, l’ambito di applicazione della diffida (cioè il dlgs n. 124/2004 sulle ispezioni) non ha limiti, non riferendosi esclusivamente a soggetti privati. Tuttavia, relativamente al caso in cui la p.a. non paga le retribuzioni ai propri dipendenti, il ricorso alla diffida va concretamente ipotizzato solo in casi residuali, perché, il più delle volte, si scontra con la disciplina speciale (e con i relativi divieti) dettata per i casi di dissesto finanziario degli enti pubblici. In tali circostanze, anzi, l’Inl ritiene non opportuno far ricorso alla diffida, che potrebbe confliggere con le specifiche normative sui casi di «crisi» degli enti pubblici.

P.a. come committente. Diverso è il discorso nell’ipotesi in cui la p.a. sia chiamata a rispondere come parte obbligata in solido con un altro datore di lavoro privato. In tal caso, spiega l’Inl, il fatto che la responsabilità solidale non si applica ai contratti pubblici (art. 29, comma 2, dlgs n. 276/2003) non preclude ai lavoratori di far ricorso alla tutela civilistica ex art. 1676 codice civile, direttamente agendo nei confronti dei soggetti committenti. Pertanto, è da ritenere possibile adottare la diffida per i crediti maturati dai lavoratori impiegati nell’appalto «fino alla concorrenza del debito che il committente ha verso l’appaltatore nel tempo in cui essi propongono la domanda».

Peraltro, in queste ipotesi, il dlgs n. 50/2016 dà alle stazioni appaltanti pubbliche la facoltà del ricorso al c.d. «intervento sostitutivo» per le inadempienze retributive dell’appaltatore nei confronti dei lavoratori impiegati nell’appalto (cioè il committente può pagare i lavoratori «sostituendosi» all’appaltatore). Dal punto di vista operativo, pertanto, l’Inl ritiene preferibile far precedere la notifica della diffida da un’invito, proposto sia alla stazione appaltante e sia all’appaltatore, finalizzato all’attivazione del c.d. «intervento sostitutivo», con l’avvertenza che, in mancanza, entro un termine contenuto, si procederà con la diffida accertativa.

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