Nel 2020 la raccolta ha recuperato meno delle attese, per la paura di investire che ha spinto i c/c a 1.700 mld. Conquistare questo bacino è la sfida per le sgr. Che per crescere cavalcano anche il m&a
di Paola Valentini

Il 2020 per l’industria italiana dei fondi comuni aperti ha segnato un recupero sul fronte della raccolta. Gli ultimi dati della mappa mensile di Assogestioni segnano flussi per oltre 16 miliardi di euro (dato a fine novembre), dai 4,6 miliardi di tutto il 2019, anche se, nonostante il rally dei mercati dopo la prima ondata della pandemia, i risparmiatori sono rimasti molto liquidi e quindi la ripresa della raccolta non è stata così sostenuta come previsto a inizio anno. Eppure le premesse per avere buoni risultati c’erano tutte, a partire dai tassi ai minimi che hanno spinto lo stock di obbligazioni con rendimenti negativi sempre più in alto (oggi si stima siano 17 mila miliardi di dollari nel mondo). Ma lo shock della pandemia ha bloccato i piani di investimento delle famiglie, sia per prudenza di fronte alle incognite di un virus mai visto prima, sia per la crisi economica che ha messo in difficoltà lavoratori autonomi, imprese e dipendenti finiti in cassa integrazione. Non a caso i conti correnti hanno visto un aumento record dei saldi, come segnalano i dati Abi. I depositi delle banche italiane sono cresciuti, a novembre 2020, di oltre 109 miliardi di euro rispetto a un anno prima (variazione pari a +8,3% su base annuale) a 1.715 miliardi (poco sotto il picco di 1.722 miliardi di ottobre). Un importo considerevole, basti pensare che a novembre 2015 era a 1.300 miliardi. In parallelo la raccolta tramite obbligazioni bancarie è scesa, negli ultimi 12 mesi, di circa 22 miliardi (pari a -9,3%). Nel frattempo, sulla base della mappa trimestrale di Assogestioni (più completa rispetto alla mappa mensile), dei 12,3 miliardi confluiti nei fondi comuni aperti da gennaio a settembre 10,6 miliardi sono riferiti al gruppo Generali il cui risultato è rappresentato da operazioni infragruppo e ribilanciamenti di portafogli dei mandati assicurativi e dei clienti istituzionali. A parte Pictet che nei nove ha registrato flussi per 3,8 miliardi, per il resto l’industria ha risentito molto della riduzione della propensione a investire dei risparmiatori di fronte all’emergenza del Covid-19 (si veda tabella).
E nemmeno nell’ultima parte dell’anno la situazione è migliorata, malgrado il rally dei mercati di novembre in seguito agli annunci dell’efficacia molto alta dei primi vaccini anti-Covid. Ad esempio per Anima «novembre registra un andamento negativo per la raccolta della clientela retail, in linea con il mese precedente, a fronte di un dato di raccolta stabile per il segmento istituzionale. Nonostante l’andamento dei mercati e le performance dei prodotti gestiti da Anima che anche per il 2020 sono in territorio positivo, la clientela retail continua a vedere nell’accumulo di liquidità sui conti correnti una protezione rispetto alle forti incertezze nel contesto macroeconomico», ha commentato Alessandro Melzi d’Eril, ad di Anima Holding. Date queste premesse la sfida per il 2021 è cercare di dirottare il risparmio parcheggiato sui conti correnti verso soluzioni gestite anche tenendo conto dell’elevato bisogno di copertura dal punto di vista previdenziale e assicurativo.
In questo senso le polizze Vita e i fondi pensione sono in concorrenza con i fondi per conquistare una fetta del risparmio cash delle famiglie. In particolare dal settore assicurativo, dopo il rallentamento nei mesi più duri della prima ondata della pandemia sono emersi segnali di ripresa delle attività delle polizze Vita, come risulta dall’osservatorio dell’Ania. In ottobre, sulla base delle ultime statistiche dell’associazione delle compagnie assicurative, la nuova produzione di polizze Vita individuali raccolta in Italia è stata pari a 8,1 miliardi, in diminuzione del 5,2% rispetto allo stesso mese del 2019 ma in aumento del 20% da settembre. Da gennaio i nuovi premi Vita emessi hanno raggiunto 63,6 miliardi, registrando, rispetto allo stesso periodo del 2019, una contrazione progressivamente sempre più contenuta e pari a -10,4% (a fine maggio si osservava la diminuzione più marcata e pari a -19,6%). E nei prossimi mesi si attende che l’accelerazione delle polizze Vita continuerà sulla scia della ricerca di maggior protezione nel post-Covid. Di fronte all’avanzata delle assicurazioni, dunque, i gestori di fondi dovranno attrezzarsi per intercettare la maxi liquidità che una volta finita l’epidemia si spera tornerà nel circuito degli investimenti e dell’economia reale. La concorrenza per i fondi arriva anche dall’interno del comparto del risparmio gestito, ovvero dagli Etf, i prodotti passivi a basso costo che si sono ritagliati un posto sempre più importante nei portafogli proprio per la loro economicità che in tempi di tassi ai minimi ha un impatto rilevante sul rendimento finale.

Da un nuovo studio di Morningstar (European Fee Study) sulle commissioni pagate dai sottoscrittori emergono però su questo fronte buone notizie per i fondi perché i costi sono scesi negli ultimi anni, anche se gli Etf hanno mostrato maggiore aggressività nel ridurre i prelievi. La ricerca ha studiato le tendenze delle commissioni per un gruppo di categorie Morningstar azionarie e obbligazionarie nel periodo dal 2013 al 2020. La società di analisi sottolinea che le commissioni sono un indicatore affidabile dei rendimenti futuri: «i fondi più economici generalmente hanno maggiori probabilità di sopravvivere e di battere in performance i loro concorrenti più cari».
Non è un caso che dal report risulta che gli investitori europei hanno dimostrato una netta preferenza per i comparti meno costosi a partire dal 2013. Morningstar calcola che la commissione media annua pagata dagli investitori, misurata dall’indicatore di spese correnti ponderato per il patrimonio dei fondi, è stata dello 0,69% a ottobre 2020, in calo del 31% rispetto al 2013. La commissione media equiponderata, rappresentata dal costo non ponderato per le dimensioni dei fondi, è stata dell’1,17%, in diminuzione del 19% rispetto al 2013. Le strategie passive (index fund, ma soprattutto Exchange traded fund, ovvero Etf) hanno guidato la riduzione delle commissioni, con una discesa del 30% del costo equiponderato degli ultimi sette anni contro una riduzione del 17% tra i fondi attivi sempre nel periodo 2013-2020. I dati, inoltre, sembrano sfatare il mito che i prodotti sostenibili siano più cari rispetto ai tradizionali. Nell’ottobre 2020, la commissione media ponderata per gli asset dei fondi Esg è dello 0,57%, mentre è dello 0,71% per i fondi non Esg. Allo stesso tempo, il costo medio equiponderato per i fondi Esg è dello 0,93% e per i fondi non Esg è dell’1,21%. «L’unica certezza negli investimenti è che bisogna pagare le commissioni ogni anno, quindi il modo più semplice per migliorare le proprie possibilità di massimizzare i rendimenti nel lungo periodo è tenere sotto controllo i costi», ha spiegato Jose Garcia-Zarate, direttore associato di Morningstar.
Proprio la pressione dei costi da parte dei prodotti passivi sta spingendo in tutto il mondo l’industria verso un consolidamento reso più urgente anche dagli elevati investimenti che le sgr devono effettuare per adeguarsi alle normative che nel settore si moltiplicano con l’obiettivo di fornire una maggiore trasparenza ai risparmiatori. Un’altra tendenza che spinge le società di asset management a diventare più grandi è la necessità di rispondere in modo adeguato ai cambiamenti demografici, a partire dall’invecchiamento della popolazione e al passaggio alla fase degli investimenti delle generazione dei Millennials che appare sensibile all’adozione di gestioni low cost e ad alto contenuto tecnologico nel servizio offerto. Quest’anno ci sono stati diversi deal a livello internazionali (a febbraio Franklin Templeton ha comprato Legg Mason dando vita a un gigante da 1.500 miliardi di dollari, mentre a ottobre Morgan Stanley ha rilevato Eaton Vance raggiungendo masse per 1.200 miliardi di dollari) e il 2021 potrebbe vedere un’accelerazione dell’m&a. A partire da State Street Global Advisors che ha dato mandato a Goldman Sachs per valutare possibili unioni con gestori concorrenti. Le fusioni non sono viste in questa fase soltanto come una mossa difensiva ma come una opzione per crescere in una industria, quella del risparmio gestito, che resta molto frammentata.

Anche l’Italia non è immune da questa tendenza alla luce del risiko delle banche che porta con sé l’m&a delle sgr controllate. E dopo l’ingresso di Pramerica in Intesa Sanpaolo a seguito delle nozze con Ubi, si attendono nei prossimi mesi le mosse degli altri big bancari, a partire da Bper e Banco Bpm con ricadute sulle sgr partecipate ovvero Anima e Arca. Insieme (con masse cumulate per oltre 107 miliardi) le due sgr salirebbero al terzo posto della classifica italiana del risparmio gestito, scavalcando Amundi (97 miliardi). Mentre saldamente al primo posto nei fondi aperti resta Eurizon Capital, la sgr del gruppo Intesa Sanpaolo guidata dall’ad Saverio Perissinotto con un patrimonio di quasi 170 miliardi in Italia.
Considerando gli asset totali, comprese le gestioni istituzionali e quelle fuori dal mercato italiano, il patrimonio gestito di Eurizon Capital arriva a 433 miliardi, inclusa la joint venture Cina dove il patrimonio di Penghua Fund Management (partecipata al 49%) ha toccato i 99 miliardi, +20% da inizio anno. Nel frattempo da novembre la controllata a Hong Kong ha cambiato la denominazione in Eurizon Capital Asia a conferma dell’obiettivo di rafforzamento della presenza di Eurizon in Oriente. Il mercato cinese del risparmio gestito offre opportunità ancora tutte da esplorare per raggiungere l’obiettivo di realizzare economie di scala tali da sostenere la pressione sui costi. Un altra strada per crescere, accanto a quella delle fusioni tra big di settore o dell’ingresso in nuovi mercati, è quella di acquisire boutique di nicchia. È questa ad esempio la strategia che ha adottato, sia a livello internazionale sia in Italia, il gruppo Generali che punta ad ampliare la propria offerta tramite società di gestione specializzate su singole asset class. (riproduzione riservata)

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