di Carlo Buonamico
Potrebbe arrivare a 9,4 miliardi di dollari entro il 2028 il valore del mercato globale delle terapie digitali (Dtx) con un tasso di crescita composto (Cagr 2020-2028) del 22,1%. Sono le stime riportate nel volume «Terapie digitali, un’opportunità per l’Italia», pubblicato dalla rivista Tendenze Nuove della Fondazione Smith Kline. Un volume di oltre 200 pagine che si propone di «identificare e definire le condizioni necessarie per consentire al paziente di accedere ai benefici delle terapie digitali, e all’Italia di divenire un riferimento per la loro ricerca e sviluppo, portando così un utile contributo al Paese dal punto di vista socio-sanitario ed economico», spiega il curatore Gualberto Guassoni, già direttore scientifico della società di Medicina Interna Fadoi.
Un potenziale mercato ancora in luce rappresentato dall’insieme delle tecnologie che offrono interventi terapeutici basati su software progettati sulla base di evidenze scientifiche derivanti da una sperimentazione clinica rigorosa analoga a quella applicata al mondo dei farmaci. Tecnologie in grado di aiutare medici e pazienti nel prevenire, gestire o trattare diverse condizioni fisiche, mentali e comportamentali, spesso di natura cronica.
Dalle malattie metaboliche a quelle cardiovascolari, da quelle del sistema nervoso centrale a quelle respiratorie passando per la disassuefazione del fumo, il ventaglio di applicazione delle Dtx è molto vasto e tante aziende, per lo più statunitensi si sono già inserite in questo comparto. Il mercato offre grandi opportunità nei Paesi in cui queste opzioni terapeutiche sono state riconosciute come veri e propri farmaci dalle autorità regolatorie, che ne autorizzano anche il rimborso da parte della sanità pubblica. Come già avviene, per esempio, negli Usa e in Germania.
Diversa la situazione nel nostro Paese, dove sono ancora molte le criticità da superare per consentire un ingresso di queste nuove opzioni terapeutiche nella pratica clinica, a partire dalla scarsa conoscenza di queste opportunità non solo da parte dei pazienti, ma anche della classe medica e delle istituzioni sanitarie, sostengono gli autori del volume.
Nonostante ciò, anche in Italia alcuni pionieri (vedi tabella) stanno già lavorando e hanno messo in piedi le prime «digital biotech company», per lo più startup che si occupano di specifiche fasi relative allo sviluppo di una digital therapy. Per questo motivo non è raro che sviluppino partnership utili a raccogliere l’expertise multidisciplinare – ingegneria informatica, clinica, piscologica, manageriale ecc. – necessaria a realizzare un prodotto finito che possa far interagire efficacemente paziente e medico e renda l’outcome del percorso terapeutico più tempestivo ed efficiente possibile anche a beneficio dell’economia del sistema sanitario.
Ciò che è certo è che dalla milanese daVinci Therapeutics alla fiorentina Helaglobe, sale unanime la richiesta alle istituzioni per il riconoscimento di questa nuova forma di terapia, anche in ragione del fatto che essa nasce e si sviluppa seguendo le regole della ricerca scientifica dei medicinali, compreso il fatto di condurre trial clinici. Un impegno serio a cui dovrebbe corrispondere un riconoscimento altrettanto significativo per consentire un adeguato accesso al mercato. (riproduzione riservata)
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