Il lockdown ha fatto calare i sinistri e le compagnie hanno registrato record di profittabilità danni. Ma tra calo dei premi e mercati volatili, in giugno gli utili erano la metà. Per il 2021 la sfida è tutta digitale
di Anna Messia
Le assicurazioni italiane si sono dimostrate resilienti davanti alla grande sfida della pandemia. Nessuna esplosione di sinistri perché, almeno questa volta, la storica sottoassicurazione delle imprese e delle famiglie italiane rispetto agli altri mercato europei ha giocato a favore delle imprese assicurative della Penisola evitando perdite ingenti. Niente a che vedere con i 5 miliardi di sterline di rimborsi che quest’anno i Lloyd’s di Londra dovranno sborsare per il Covid-19. Anzi, il blocco della circolazione ha avuto l’effetto di far calare per più di qualche mese i sinistri. Tanto che secondo quanto comunicato dall’Ivass, l’istituto di controllo guidato dal direttore generale di Banca d’Italia Daniele Franco, per la prima volta da quando è entrato in vigore Solvency II, il combined ratio, indicatore di profittabilità delle assicurazioni danni (più è basso meglio è), a giugno scorso era arrivato all’85% rispetto al 92% di giugno 2019. Benefici che le compagnie hanno scelto di retrocedere in parte ai propri assicurati. Come è stato per esempio per il gruppo Unipol, guidato da Carlo Cimbri, che ha offerto un mese gratuito al rinnovo dell’Rc Auto e ha regalato a tutti i clienti una polizza che prevede indennizzi in caso di ricoveri per covid. Il lockdown ha avuto anche effetti negativi, facendo flettere i premi, mentre la volatilità di borsa e i perduranti tassi d’interesse che viaggiano in territorio negativo, hanno colpito il conto economico. Così il bilancio dei primi sei mesi del 2020 ha evidenziato un utile dimezzato rispetto allo stesso periodo del 2019 e nonostante il recupero della raccolta le previsioni di fine anno rese note dall’Ania nei giorni scorsi sono di una frenata dell’attività. Certo il recupero rispetto al crollo del -40% dei premi subito in piena emergenza sanitaria è stato forte e incisivo ma le attese per l’intero 2020 sono di un calo della raccolta vita compreso tra il 5 e il 7% e di quella danni al -9% (-5% guardando solo le coperture Rc Auto). La buona notizia è che il Solvency II di sistema a fine settembre è tornato ai livelli pre-crisi con le compagnie che operano in Italia che avevano un indice di solvibilità di circa il 230%, ovvero 2,3 volte in più rispetto al minimo richiesto dal regolatore. Tutto sotto controllo, quindi, ma le previsioni dell’Istat che stimano una contrazione dell’economia italiana dell’8,9% nel 2020, cui potrebbe fare seguito un rimbalzo di entità inferiore nel 2021 (si ipotizza un +4%), non possono essere ignorate dalle compagnie che per continuare a crescere pur in un contesto di economia in frenata dovranno tra le altre cose vincere la sfida digitale, rivedendo i modelli di business alla luce dei cambiamenti d’abitudine imposti dalla pandemia.
D’altro canto, il lockdown ha accelerato un trend di cambiamenti che sarebbero comunque avvenuti pur in un orizzonte temporale di più anni, come nel caso dello smart working. E l’Italia, anche in questo, ha bisogno di recuperare terreno e può dunque sfruttare la situazione contingente a proprio favore per cercare di colmare il gap con i diretti concorrenti. Se il 2020, a livello mondiale, è stato un anno record per gli investimenti in insurtech, con 5 miliardi mobilitati e colossi come Amazon e Walmart che affilano le armi prima di lanciarsi anche nel settore assicurativo, l’Italia resta fanalino di coda con appena il 4% del fatturato della compagnie che è stato investito in tecnologia, contro il 13% medio del resto d’Europa. Non è certo un caso che nelle scorse settimane Generali abbia fatto una mossa inedita in questa direzione. Il gruppo guidato da Philippe Donnet ha infatti costituito con Accenture una joint-venture per accelerare la strategia di innovazione e digitalizzazione attraverso il Cloud e le piattaforme condivise. Ma ci sono almeno altre due sfide davanti alle compagnie italiane per i mesi a venire.
Prima di tutto dovranno riuscire a tenere alti i rendimenti e attraenti le polizze vita agli occhi dei risparmiatori nonostante i tassi d’interesse prossimi allo zero, destinati peraltro a rimanere bassi ancora a lungo. Al tempo stesso dovranno anche contribuire a sostenere la ripresa economica dell’Italia, forti di 950 miliardi di investimenti nei loro portafogli, più della metà del prodotto interno lordo italiano. Risorse che le imprese sono pronte a utilizzare per favorire la crescita del Paese che il Covid ha fatto balzare indietro di trent’anni, accompagnando per esempio lo sviluppo delle infrastrutture. «Risparmio e investimenti non sono il nostro unico asset da porre al servizio del rilancio», ha puntualizzato in più occasioni Maria Bianca Farina. la presidente dell’Ania, l’associazione degli assicuratori, aggiungendo che dalla loro le assicurazioni hanno anche «competenze, importanti capacità di risk management e presenza capillare e distinta sul territorio, con più di 200 mila intermediari». Ed è evidente che mai come in questo momento ci sia bisogno di tutte le forze a disposizione per far ripartire l’Italia aumentando anche la diffusione delle coperture assicurative per dare maggiore sicurezza e stabilità economica a imprese e famiglie. Non a caso proprio in questa direzione muove la proposta dell’Ania per coprire i rischi legati alla pandemia, di famiglie e soprattutto imprese, messa a punto nei giorni scorsi dall’associazione e presentata all’esecutivo guidato da Giuseppe Conte, attingendo anche alle risorse del Recovery Fund. Un piano pubblico-privato, con una programmazione di medio-lungo termine riuscirebbe ad affrontare nuove emergenze anche con il contributo dei sistema assicurativo. Ora la scelta se avviarlo è tutta politica. (riproduzione riservata)
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