Il ceo (Ivass permettendo) staccherà una cedola record e punta al rinnovo del mandato. Negli ultimi 20 anni il maggior total return è stato garantito da Greco. Meno generosa con i soci la gestione di Perissinotto
di Anna Messia
Concludere un mandato al vertice di Generali (lo dimostra la storia) può essere più complicato che tenersi la poltrona nel governo italiano (come racconta la cronaca di questi giorni). Ma il group ceo della compagnia di Trieste, Philippe Donnet, non si è lasciato scomporre davanti agli imprevisti delle ultime settimane che qualcuno ha interpretato come il segnale di un suo indebolimento, proprio nell’ultimo anno di mandato. Anzi. Dopo le annunciate dimissioni di due manager chiave, il general manager Frédéric de Courtois e il group chief investment officer Timothy Ryan, uomini a lui vicini che Donnet aveva chiamato a Trieste per affidargli due pilastri del piano industriale, ha deciso di rilanciare, senza colpo ferire: ha risistemato le caselle nel gruppo, con la promozione di manager tutti interni alla compagnia (Sandro Panizza come chief Insurance & Investment officer, Carlo Trabattoni, in sostituzione di Ryan, Bruno Scaroni come group chief transformation officer e Giancarlo Fancel, come group chief risk officer ); ha semplificato la struttura ma soprattutto Donnet ha preso in mano la leva della finanza, dei prodotti e delle acquisizioni assumendo il coordinamento del group chief financial officer, Cristiano Borean, del group chief marketing & customer officer, Isabelle Conner e del group head di mergers & acquisitions, Massimiliano Ottochian. L’intenzione è evidentemente di dare un colpo di reni a Generali per arrivare ai traguardi prefissati nel piano industriale 2019-2021 che punta a dividendi cumulati di 4,5-5 miliardi e ad un roe 2021 superiore all’11,5%, nonostante il Covid abbia stravolto la situazione. Ma l’obiettivo è anche di preparare la compagnia al prossimo ciclo strategico, 2022-2024, chiunque sarà a guidarla,e ovviamente Donnet conta di essere ancora lui.
Una sfida che non è affatto semplice considerando che nel frattempo la pandemia ha sparigliato le carte e se nel 2020 i conti delle compagnie assicurative sembra aver tenuto (Generali li presenterà l’11 marzo) le incognite maggiori riguardano l’anno che si è appena aperto, con la crisi economica che potrebbe accelerare dopo il venir meno del blocco dei licenziamenti e della cassa integrazione straordinaria per il Covid. Proprio mente la crisi politica ha riacceso l’attenzione sullo spread che per le compagnie è per definizione una variabile da guardare con molta attenzione, visto che le assicurazioni italiane hanno in pancia più di 400 miliardi di Btp, 60 dei quali sono proprio del Leone. Per di più i tassi d’interesse resteranno presumibilmente anche bassi a lungo, e anche questo non è un dato positivo per le assicurazioni. Ma per Donnet in ballo c’è molto di più perché il 2021 è l’ultimo anno del piano triennale e ad aprile dell’anno prossimo arriverà a scadenza l’intero consiglio di amministrazione, compreso il group ceo. E si sa che nella storia della compagnia sono stati più frequenti i ribaltoni fragorosi al vertice piuttosto dei passaggi di staffetta ordinati.
È stato così nel 2012, quando il consiglio di amministrazione decise di defenestrare Giovanni Perissinotto, che tra cogestioni in tandem (prima con Fabio Cerchiai e poi con Sergio Balbinot) e gestione in solitaria (nel periodo 2010-2012) è rimasto al timone del Leone per oltre 10 anni (e 33 anni in totale nel gruppo di Trieste). La sua uscita è stata segnata anche dalla richiesta di danni monstre per 60 milioni (con la successiva archiviazione) e l’accusa di avere fatto crollare il titolo a ridosso degli 8 euro. E in effetti, come emerge dall’elaborazione dell’ufficio studi di MF-MilanoFinanza, il total return ratio medio della gestione biennale di Perissinotto in solitaria ai vertici del Leone è stato negativo per oltre il 26% mentre, però, Piazza Affari crollava (-49,88%). Il manager si è trovato in mezzo ad un ciclo economico e assicurativo negativo. Ma qualche anno dopo il trambusto al vertice si è ripetuto con le dimissioni anzitempo di Mario Greco, passato al timone di Zurich e sostituito dallo stesso Donnet, che era già numero uno dell’Italia. Eppure la gestione del manager partenopeo, a guardare il titolo, non è apparsa negativa, con le azioni passate dai 10,2 euro di agosto 2012, al momento suo arrivo, ai 14,15 euro di gennaio 2016, quando è uscito, con una crescita pari quindi a oltre il 37%, meglio dei 36% registrato nel frattempo dal Ftse Mib. Greco ha beneficiato della performance positiva dei mercati e ha ottenuto il total return più alto nella storia degli ultimi 20 anni di Generali, pari complessivamente ad una media annua del 9,55%. Ma nello stesso periodo l’indice assicurativo europeo aveva guadagnato addirittura più dell’83%.
Donnet durante il suo mandato non è stato altrettanto fortunato con la Borsa con Piazza Affari che da marzo 2016 a oggi ha guadagnato solo il 17,78%. Ma il suo total return ratio è stato comunque pari al 4,92% annuo, subito dietro Greco nella classifica degli amministratori che hanno preso le redini del Leone negli ultimi venti anni. Colpa anche del fatto che Generali, dopo lo stop Ivass ai divedendi, è stata penalizzata rispetto a competitor come Allianz e Zurich che nel frattempo avevano staccato le cedole. Ma Donnet ha indubbiamente brillato sul fronte dividendi e a valere sul bilancio 2018, è riuscito però a pagare una cedola di 90 centesimi (con un monte dividendi di 1.412 milioni) pari solo a quanto fatto da Generali nell’anno d’oro del 2007, quando alla plancia di comando c’era il tandem Perissinotto-Sergio Balbinot. E nel 2019 è riuscito a fare anche meglio, pronto a staccare la cedola più alta nella storia della compagnia di 0,96 centesimi, salvo poi dover prendere atto dello stop di Ivass su 0,46 euro, come misura prudenziale in conseguenza della pandemia. Ora il dialogo con l’autorità di controllo del settore si è riaperto e il manager ha fatto sapere di essere pronto a staccare il prima possibile l’assegno congelato e soprattutto di voler mantenere la promessa di pagare dividendi cumulati tra 4,5 e 5 miliardi nell’intero triennio 2019-2021. Il che significherebbe mantenere quanto meno la cedola a 0,96 euro anche per i prossimi due anni, se non addirittura aumentarla ancora qualora venisse toccato il traguardo dei 5 miliardi di dividendi cumulati. Con gli analisti di Mediobanca che hanno già ipotizzato che il prossimo dividendo sarà pari ad 1 euro. Risultati che sarebbero di certo graditi agli azionisti che attendono però anche di conoscere l’evoluzione della partita Cattolica, di cui Generali è arrivata a detenere il 24,4% dopo aver sottoscritto l’aumento di capitale di 300 milioni, e su cui il cda sembra essersi spaccato. Una partita piuttosto intricata tra la seconda tranche di 200 milioni da chiudere con il pressing Ivass (cui Generali presumibilmente aderirà pro quota) e la maxi lite legale scoppiata nel frattempo con Banco Bpm sulle joint venture assicurative. Si sa che con gli azionisti di Generali non si può abbassare la guardia mentre continuano le manovre in vista dell’appuntamento del prossimo anno. Se i Benetton sono fermi al 3,98% del capitale, altri grandi soci sono in movimento. Francesco Gaetano Caltagirone ha appena arrotondato la propria quota al 5,43%, e Leonardo Del Vecchio, forte del 4,84% a Trieste, sta stringendo la presa su Mediobanca, socia di Generali con il 13%. Ma c’è ancora un anno a disposizione per avere un quadro più chiaro anche se c’è già chi ha aperto il toto nomine per il dopo Donnet immaginando addirittura un ritorno a Trieste di Balbinot che nel frattempo si è fatto molto apprezzare anche ai vertici di Allianz. Fantafinanza per ora, con Donnet che è pronto a guadagnarsi sul campo la medaglia di migliori group ceo nella storia della compagnia e a tenere stabile il vertice di Generali ben più di quello di governo. (riproduzione riservata)
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