di Gaudenzio Fregonara
Prima della crisi da Covid era in atto una tendenza al progressivo aumento delle pmi quotate. Il numero delle società non finanziarie con caratteristiche ampiamente idonee per l’accesso potenziale al listino di borsa era molto elevato: quasi 2.800. Ma la prima ondata della pandemia avrebbe determinato una riduzione del numero delle pmi quotabili all’inizio del 2021 del 20% nello scenario base e del 25% nello scenario più negativo. Il numero rimarrebbe comunque elevato e pari rispettivamente a oltre 2.200 e a circa 2.100.
È quanto si legge nella nota pubblicata ieri dalla Banca d’Italia e relativa all’impatto della crisi da Covid sull’accesso delle pmi italiane al mercato dei capitali. Le imprese dei settori maggiormente penalizzati dalla crisi sarebbero in parte sostituite da aziende dei settori favoriti nel nuovo ambiente economico, prosegue Via Nazionale, precisando che il numero delle imprese quotabili e la distribuzione per settore potrebbero modificarsi a seconda dell’evoluzione della pandemia e delle misure di sostegno all’economia. A parità di altri fattori, secondo Bankitalia, è ipotizzabile che la tendenza alla quotazione in borsa possa ritornare ai ritmi pre-crisi una volta che gli effetti del Covid si saranno esauriti e l’attività economica sarà ripresa. Tra giugno e novembre del 2020, quando la circolazione del virus è rallentata e i mercati si sono stabilizzati, si sono registrate 15 ipo a Piazza Affari, di cui tredici sull’Aim; può trattarsi in parte di progetti di quotazione avviati prima della crisi, sospesi temporaneamente per effetto della pandemia e riavviati con la ripresa delle attività economiche e del mercato di borsa. Tra le società neo-quotate prevale il settore tecnologico, cioè uno di quelli a maggiore potenziale di crescita.
L’ipotetica quotazione di tutte le società individuate dall’analisi contribuirebbe a ridurre il sottodimensionamento del mercato azionario italiano rispetto a quelli delle maggiori economie. La capitalizzazione di mercato addizionale teorica è stimabile in 71 miliardi di euro nello scenario base e in 68 miliardi nello scenario negativo, con un incremento del rapporto sul pil al 40% dal 36% di fine 2019. I costi di accesso e quotazione in borsa non esauriscono i motivi per la scarsa propensione delle imprese italiane ad aprirsi al capitale di rischio. L’indagine sulle condizioni microeconomiche e su quelle esterne (regolamentazione, fiscalità, mercati) per la quotazione, nonché sull’efficacia degli strumenti adottati nel tempo per favorire l’accesso alla borsa, resta un importante compito per la ricerca e per le autorità di mercato. (riproduzione riservata)
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