Il 72% delle imprese ha creato prodotti ad hoc per fare fronte all’emergenza. E nel 2022 Lemonade arriverà in Italia
di Anna Messia
Con la pandemia l’innovazione tecnologica e la trasformazione digitale sono diventati temi centrali nei piani industriali delle assicurazioni. Ma, in assenza di poli aggreganti nell’insurtech, c’è il rischio che solo i big riescano ad avere risorse e competenze per innovare. A scattare la fotografia è la ricerca condotta da Iia, l’Italian InsurTech Association, e EY, in collaborazione con Sas dalla quale emerge che ad oggi il 35% delle compagnie ha nominato un chief innovation officer che nel 74% dispone di un team dedicato di oltre dieci persone. Qualcosa insomma si sta muovendo: l’80% del campione ha dichiarato di avere avviato percorsi di formazione dedicati all’innovazione, e nel 60% dei casi sono rivolti a tutti i dipendenti. Dall’analisi emerge poi chiaramente che il lockdown ha influenzato il rapporto tra le compagnie assicurative e i clienti. Con il blocco della circolazione il 79% dei clienti ha comunicato con la propria assicurazione attraverso contact center, chatbot e strumenti di videochat, mentre il restante 21% si è affidata al telefono. Il maggior uso dei canali digitali non sembra però riguardare le sottoscrizioni: il 30% degli intervistati ritiene invariata l’entità delle sottoscrizioni online, mentre il 41% ha osservato una crescita limitata (sotto il 10%). La pandemia ha anche spinto le compagnie a creare nuovi prodotti che tengano conto delle nuove esigenze dei clienti: il 72% delle compagnie ha lanciato prodotti ad hoc per fare fronte all’emergenza. E nel lungo periodo, il 35% degli intervistati si aspetta un incremento nel numero di sottoscrizioni e quasi la metà (48%) una richiesta di coperture più estesa, data la maggiore necessità di protezione avvertita dai consumatori. Innovazione che potrebbe rivelarsi utile anche a far crescere il mercato assicurativo danni italiano con il rapporto tra premi incassati e pil tra i più bassi d’Europa. Per quanto riguarda la presenza di un budget dedicato all’innovazione, il 75% ha previsto una soglia di spesa, e per quasi la metà (48%) del campione è superiore al milione. «Come è naturale aspettarsi, la propensione alla spesa aumenta in base alle dimensioni della compagnia e alla raccolta premi, con i due terzi dei player più grandi, con premi superiori ai 5 miliardi, che riservano all’innovazione più di 1 milione di euro l’anno», osserva Simone Brandimarte, presidente dell’Italian InsurTech Association. Proprio questo è il punto. Il rischio è che a spingere sull’innovazione siano solo le aziende più grandi perché finora in Italia sono mancati poli aggregatori dell’Insurtech che hanno caratterizzato per esempio gli Stati Uniti. Tali poli possono essere incubatori, acceleratori ma anche stesse start up Insurtech se raggiungono una massa critica. «Penso a Lemonade, completamente digitale, specializzata nelle coperture assicurative per l’abitazione che in pochi anni ha raggiunto un valore di Borsa di quasi 10 miliardi di dollari, nella quale hanno investito fondi e compagnie, che offre la liquidazione immediata del sinistro e ha fatto da indice di riferimento per il mercato. Anche noi dobbiamo investire sui campioni nazionali», aggiunge Brandimante. In poco tempo la Lemonade ha esportato il suo modello in Germania o nei Paesi Bassi e per l’anno prossimo ha puntato all’Italia. (riproduzione riservata)
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