La pandemia fa crescere l’esigenza di protezione sanitaria tra gli italiani, che però pagano ancora di tasca propria l’89% delle cure non garantite dallo Stato. La soluzione? 
Più sanità integrativa. Ecco un confronto tra i prodotti offerti dalle principali compagnie
di Marco Capponi

La pandemia di Covid-19 ha costretto gli italiani a imparare a vivere esercitando l’arte della rinuncia (zero viaggi, zero cene al ristorante), ma un bene di cui nessuno vuol fare a meno è la salute. Un recente sondaggio di Nomisma e Crif mostra che solo il 14% dei cittadini ridurrà le spese sanitarie nel 2021, mentre il 21% le aumenterà. Si tratta dell’unica voce, assieme all’istruzione dei figli, dove la quota di chi metterà mano al portafoglio è superiore a quella di chi lascerà il denaro in cassaforte. Tale segnale è corroborato dal IX Rapporto Intesa Sanpaolo Rbm Salute-Censis sulla sanità pubblica, privata e intermediata, secondo il quale la pandemia ha fatto sì che la salute sarà la preoccupazione primaria nei prossimi anni per due italiani su tre. Una necessità impellente e non più ritardabile se si pensa che il 33% del campione del sondaggio è stato costretto nel 2020 a rinunciare alle cure per motivi logistici (terapie cancellate o rimandate) o economici.

Sono proprio le spese sostenute fuori dai trattamenti garantiti dallo Stato a far suonare un campanello d’allarme: per star bene gli italiani pagano quasi tutto di tasca propria. «Nel nostro Paese», spiega Marco Vecchietti, amministratore delegato e direttore generale di Intesa Sanpaolo-Rbm Salute, «l’89% della spesa sanitaria per cure fuori dal sistema nazionale è pagata dal cittadino rispetto al 60% europeo». Su una media nazionale di spesa sanitaria privata pro-capite di 691 euro il rapporto Rbm-Censis segnala che il valore passa a oltre 1.400 euro (7,1% del reddito) per gli over-60 e oltre 2.000 euro (9,7%) per chi non è autosufficiente.

La soluzione al problema ci sarebbe: le assicurazioni sanitarie permettono di sostenere spese che altrimenti dovrebbe essere sostenute di tasca propria. Stando ai calcoli di Rbm Salute-Censis, il ricorso alle polizze permette di ridurre i costi privati in media del 18%. La tabella pubblicata in pagina propone un confronto tra i principali prodotti sanitari integrativi divisi per fascia di premio annuo e garanzie proposte. La copertura di questi strumenti è indirizzata in particolare all’universo delle visite specialistiche che non rientrano nelle garanzie del Sistema Sanitario Nazionale. Quest’anno, secondo Nomisma-Crif, il 17% degli italiani aumenterà la spesa per le assicurazioni sanitarie integrative, ma il timore è che troppe persone continuino ad affidarsi a questa soluzione solo quando è garantita dai contratti di lavoro. «La sanità integrativa è attuata per il 75% della raccolta premi effettuata attraverso polizze collettive», aggiunge Vecchietti, «ed è pagata principalmente dalle aziende: quindi è più diffusa dove c’è più occupazione stabile», ossia nel Centronord. Nel 2019 la media italiana della spesa assicurata era del 21,9%, ma con forti variazioni tra il leader Lombardia (56,6%) e il fanalino di coda Calabria (3,3%). «La differenza», sottolinea Vecchietti, «è che nel Nord Italia c’è maggiore diffusione perché ci sono più aziende e quindi più polizze collettive. Quelle individuali invece hanno una diffusione omogenea in tutte le aree». Una soluzione? «Omogeneizzare il regime fiscale delle polizze favorendo la diffusione della sanità integrativa a beneficio di coloro che non hanno un reddito di lavoro dipendente o comunque un contratto di lavoro stabile».

Sul lato dell’offerta intanto c’è dinamismo: un esempio è la recente joint venture tra Generali, Sanofi, Capgemini e Orange per offrire soluzioni di assistenza sanitaria digitalizzate. E anche i player esterni stanno cercando fortuna nel comparto: la multi-utility Optima ha da poco ricevuto un finanziamento da Cdp per debuttare nel mondo della sanità, anche attraverso polizze specifiche. Operazione, quest’ultima, che segnala la necessità di sinergie tra pubblico e privato. Secondo Vecchietti, «l’assicurazione sanitaria potrebbe rappresentare un ponte tra i due settori per garantire che la spesa sanitaria privata non rimanga un onere a carico di chi è malato». In un sistema di assicurazione sanitaria diffusa, infatti, «sia i sani che i malati sostengono un costo, molto più contenuto di quello effettivo delle cure, per avere nel momento del bisogno la sicurezza di poter scegliere il percorso migliore».

All’aspetto organizzativo è poi necessario affiancare due fattori. Il primo è informare i cittadini, i quali devono essere messi in condizione di conoscere le varie opzioni a disposizione. Il secondo è la crescita costante di operatori e prodotti. «L’elemento-chiave è la ripartizione del rischio», conclude Vecchietti. «Più cittadini attiveranno polizze sanitarie, più il sistema di sanità integrativa sarà stabile e più il livello dei premi richiesti a ciascuna persona sarà contenuto». È così che l’assicurazione sanitaria diventa «uno strumento di protezione collettiva e quindi una forma di tutela sociale». (riproduzione riservata)
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