GIURISPRUDENZA
Autore: Massimo Caiafa
ASSINEWS 315 – gennaio 2020
Excursus storico, presupposti di applicabilità, osservazioni, aspetti in rito con significative sentenze – in tema – della Suprema Corte
Il nostro codice di procedura civile (pubblicato sulla G.U. del 28.10.1940) non prevedeva la possibilità di impugnare con revocazione le sentenze della Suprema Corte. In seguito alla problematica sollevata da alcuni interrogativi della Cassazione, recepiti dalla Corte Costituzionale, il legislatore ha, con disposizioni differite nel tempo (391 bis c.p.c., 391 ter c.p.c., d.lgs. 2.2.2006 n. 40 e legge 25.10. 2016 n. 197), in relazione agli artt. 287 e 395 c.p.c., previsto l’istituto in oggetto con un percorso innovativo, svolto in modo disorganico e con formulazione inadeguata ad integrare concetti codificati, causando inevitabili contrasti di interpretazione.
La tematica – che si è sviluppata in altalenanti previsioni – per essere affrontata, seppur in brevi linee, va esaminata nel richiamato excursus integrativo del compendio codicistico originario:
1. Le Sezioni Unite della Suprema Corte con l’ordinanza dell’8.2.1983 n. 101 ritennero non manifestamente infondata la questione di costituzionalità della normativa esistente che, appunto, non prevedeva la revocazione delle sentenze della Suprema Corte affette da errore di fatto in quanto appariva ingiustificato far prevalere rispetto alla sentenza il principio della inimpugnabilità su quella della revocabilità, valido per tutte le altre sentenze inficiate da errori materiali.
2. La Corte Costituzionale con la sentenza 30.01.1986 n.17, dichiarò la illegittimità dell’art. 395 c.p.c. n. 4 nella parte in cui non prevedeva la revocazione delle sentenze della Corte di Cassazione rese su ricorso basato sul n. 4 dell’art. 360 (nullità delle sentenze o del procedimento) e affette dall’errore di cui alla richiamata normativa. La Corte affermò che “il diritto di difesa, previsto dalla Costituzione e garantito in ogni stato e grado dall’art. 24 II comma, su biva un ictus nel caso l’errore di fatto, così come descritto dall’art. 395 n. 4 c.p.c., non fosse suscettibile di emenda solo perché perpetrato dal giudice cui spetta il potere – dovere di nomofilachia”.
3. La Suprema Corte con l’ordinanza 11.07.1989 riproponeva alla Corte Costituzionale il quesito sull’ammissibilità della revocazione per errore di fatto ricavabile dall’esame degli atti di causa ai sensi dell’art. 395 n. 4 c.p.c. con riguardo a sentenze della Corte di Cassazione quando – quale che sia il motivo per ricorso proposto – un siffatto errore si fosse appalesato come compiuto nella lettura degli atti di causa del giudizio.
4. Al quesito posto dalla Cassazione, la Corte Costituzionale rispondeva con la sentenza n. 36 del 31.01.1991 che, richiamandosi alla precedente sentenza 17/1986, dichiarava l’illegittimità costituzionale dell’art. 395 n. 4 c.p.c. nella parte in cui non prevedeva la revocazione delle sentenze per errore di fatto compiuto nella lettura di atti propri del giudizio di legittimità, osservando che “…per l’errore di natura percettiva (svista o equivoco), che in nessun modo coinvolge l’attività valutativa in cui la Corte di Cassazione incorra nel controllo degli atti del processo a quo, non può non valere anche per l’analogo errore in cui la Corte incorra nella lettura di atti interni al suo stesso giudizio”.
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