Alla fine è poco più di un chilometro: venti minuti a piedi. Si tratterebbe di uscire dal palazzo di piazza Nogara, quello disegnato negli anni Settanta da Carlo Scarpa e allontanarsi un po’ dal centro storico di Verona. Prendere via Scala, via Quattro Spade, corso di Porta Borsari e arrivare al ponte della Vittoria percorrendo via Armando Diaz. L’Adige andrebbe attraversato lì, per non allungarla troppo. A quel punto, da piazzale Cadorna si prende viale della Repubblica e proprio in fondo, quando si torna a rivedere la riva del fiume, si è praticamente arrivati: sulla destra c’è Lungadige Cangrande, il numero 16. La strada che separa la sede veronese di Banco Bpm dal quartier generale di Cattolica Assicurazioni è agevole da percorrere sulla carta, ma sebbene a Verona non si parli d’altro da una settimana, il percorso che potrebbe condurre Carlo Fratta Pasini, fino al 4 aprile presidente di Banco Bpm, nella sede della compagnia assicuratrice è molto più complesso di quanto appaia.
Sensi unici
Come in molti centri storici, infatti, per risolvere il problema del traffico nelle strette vie del centro di Verona, dietro l’Arena e il balcone di Giulietta, si è fatto ricorso alle zone a traffico limitato e ai sensi unici: sbagliare ad imboccare una strada significherebbe ritrovarsi in periferia e a quel punto ritornare in centro sarebbe quasi impossibile. L’avvocato Fratta Pasini queste cose le sa bene. È uomo cauto, abituato da un quarto di secolo a navigare i mari della finanza nazionale. Ha firmato alcuni dei salvataggi più rumorosi degli ultimi decenni e ha condotto l’unica fusione realizzata in Europa da quando la Bce ha esteso la sua sovranità agli istituti italiani di maggior conto. Adesso che ha deciso di non ricandidarsi al vertice della banca, a soli 63 anni, potrebbe considerare come alternativa alla cura delle vigne un nuovo impegno, magari proprio in Cattolica.
Lì, comanda Paolo Bedoni, la cui guida ha urtato di recente diverse sensibilità. Non solo quella di Alberto Minali, l’amministratore delegato chiamato dalle Generali e defenestrato il 31 ottobre 2019 nonostante risultati positivi, ma anche quella di diversi altri soci che, messo assieme il 2,5 per cento del capitale, hanno ottenuto dal consiglio di amministrazione di giovedì scorso, 16 gennaio, la convocazione di un’assemblea straordinaria per il 6 e 7 marzo prossimi, con il fine di cambiare alcune regole del governo societario.
Chi ha studiato la documentazione assicura che la manovra dei soci richiedenti, Francesco Brioschi, Massimiliano Cagliero, Giuseppe Lovati Cottini, oltre alle società Credit Network & Finance che fa capo a Luigi Frascino e Sh64, abbia come fine ultimo il siluramento di Bedoni che, nonostante una riconosciuta capacità di coagulo dei più disparati interessi, avrebbe perso nei tempi recenti la presa con la parte più sofisticata del suo azionariato.
La dimostrazione sarebbe proprio nella presenza di Cagliero e Lovati Cottini tra i «contestatori»: sono uomini di finanza e noti ai potentati romani d’Oltretevere. Se quanto prospettato dovesse accadere, si dovrebbe trovare un sostituto all’altezza e non si vede, neppure guardando dall’alto del Monte Baldo, un candidato più adatto di Fratta Pasini per tutelare gli interessi di una certa Verona, quella che si è sentita tradita nel recente passato dalla miopia di Paolo Biasi alla Cassa di Risparmio e oggi condotta in un vicolo cieco dall’andamento sincopato di Cattolica. Tanto più che chi si è spinto più lontano, proponendo al termine di una cena la possibile candidatura al professor Stefano Zamagni, è stato subito fermato da un cortese ma risoluto diniego. Ciò però non basta a fare di Fratta Pasini «il» candidato, sebbene sia in grado di garantire, tra le altre cose, la comprensione del dialetto veneto e la capacità di esprimersi in italiano e in inglese. In primis perché, fino ad aprile, ha altro da fare. Poi perché con Bedoni è spesso andato d’accordo, sia per le origini cattoliche e terriere, sia per una certa visione moderata della finanza. Servirebbe quindi un progetto più ampio su cui impegnarsi, soprattutto un interesse vivo da tutelare. E questa potrebbe essere l’anima stessa di Cattolica, se venisse minacciata la sua esistenza.
Gli americani
La defenestrazione di Minali a fronte di risultati che gli stessi defenestratori hanno dichiarato essere positivi è diventata la leva su cui alcuni investitori, tra cui l’americano Warren Buffett con la sua Berkshire Hathaway, stanno spingendo per vedere tutelate le proprie ragioni. Al punto che uno dei legali di Berkshire Hathaway, Ronald Olson, un passato al dipartimento di giustizia americano, ha preso carta e penna per far valere le ragioni di Buffett & company.
La compagnia cerca di difendersi e di guardare avanti: ha appena nominato Valter Trevisani, ex Generali, condirettore generale. Decisione, questa, che vede il neo amministratore delegato Carlo Ferraresi confermare le scelte fatte a suo tempo da Minali, sia negli uomini che negli obiettivi del confermato piano industriale. Ma oggi Cattolica ha bisogno di altro: soprattutto di risultati e di certezze a livello di società, non di management, anche perché è chiamata a rispondere a molte domande e servono risposte precise, nette, dettagliate. Dalla fine di dicembre nella sede centrale sono in corso diverse ispezioni: alla Guardia di Finanza si affiancano Ivass e Consob, mossi questi, a quanto sembra, proprio dalla lettera di Olson.
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