In calo i giovani professionisti e i loro redditi medi. Ma gli enti di previdenza reagiscono. Ecco le misure più importanti contro i conflitti intergenerazionali
I l mondo delle professioni vive da qualche anno una crisi sistemica, non episodica, che sta cominciando a modificare la percezione che la società in generale ha delle professioni stesse. Se, fino a qualche anno fa, essere un professionista, cioè aver superato l’esame di stato e ottenuto l’iscrizione al relativo albo, voleva dire essere «arrivato» e la prospettiva da lì in poi era quella di una strada in discesa o almeno senza troppe salite, oggi non è più così. E i giovani lo hanno capito benissimo.
Lo dimostra il calo di nuove iscrizioni che caratterizza quasi tutte le professioni ordinistiche, e lo conferma il livello bassissimo dei redditi fatto registrare dai trentenni, in alcuni casi decisamente da fame. La notizia positiva è che i vertici degli organismi di rappresentanza delle categorie hanno ben presente questa difficile situazione e, per arginare l’emorragia di nuove leve, che potrebbe mettere a rischio gli equilibri economici delle casse di previdenza, da qualche anno stanno provando a mettere in campo strumenti, anche finanziari, consistenti. Il compito principale se lo sono accollate le casse di previdenza, in considerazione della loro natura di polmone finanziario della categoria: con sempre maggior convinzione stanno approntando strumenti e risorse per venire incontro alle difficoltà dei nuovi iscritti. A una rassegna delle più interessanti iniziative in materia di welfare è dedicata l’inchiesta di apertura di questo numero di ItaliaOggi Sette. Da un punto di vista politico l’impegno degli enti di previdenza svolge anche la funzione di antidoto contro il cosiddetto conflitto generazionale che, in materia previdenziale, è alimentato dall’intangibilità dei diritti acquisiti, che finisce per dividere il mondo in due categorie, quella di chi è già in pensione o vi è molto vicino, che beneficia di regole molto generose, non più sostenibili in futuro, e quella di chi è ancora molto lontano dalla pensione, che sa di poter contare, nella migliore delle ipotesi, sulla restituzione in forma di assegno previdenziale di quanto versato alla propria cassa durante la vita lavorativa (sistema contributivo, ormai generalizzato).
L’impegno degli enti di previdenza a favore dei giovani va concretamente nella direzione opposta e, seppure le somme finora rese disponibili siano generalmente modeste rispetto a quelle utilizzate per il pagamento degli assegni pensionistici, si tratta tuttavia di un impegno che cresce anno dopo anno. Le misure previste dalle casse di previdenza sono diverse, ma l’età massima per beneficiarne è normalmente di 35 anni: gli avvocati hanno previsto finanziamenti per facilitare l’apertura dello studio, i commercialisti e ragionieri un contributo per avviare l’attività o per l’acquisto o il noleggio di strumenti utili alla professione, i consulenti del lavoro hanno preferito puntare sugli aiuti alla formazione specialistica, i notai invece su prestiti d’onore per l’apertura dello studio assieme ad aiuti in caso di disagio economico (!), mutui agevolati sono stati previsti anche dai medici, mentre i farmacisti hanno scelto di agevolare le scuole di formazione, come gli infermieri, biologi e veterinari finanziano le borse lavoro mentre la cassa dei periti industriale concede prestiti agevolati ai giovani in presenza di determinate condizioni, architetti e ingegneri hanno tagliato i contributi, così come gli agenti di commercio mentre chimici, biologi, psicologi e geometri hanno scelto di agevolare le attività di formazione professionale. I giornalisti hanno invece optato per un sussidio di disoccupazione. Misure diverse, ma tutte orientate ad aiutare i giovani professionisti, riconosciuti come la parte più debole della categoria. Ma anche, inevitabilmente come il futuro della stessa.
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