Compito del titolare della posizione di garanzia è evitare che si verifichino eventi lesivi dell’incolumità fisica intrinsecamente connaturati all’esercizio di talune attività lavorative, anche nell’ipotesi in cui siffatti rischi siano conseguenti ad eventuali negligenze, imprudenze e disattenzioni dei lavoratori, la cui incolumità deve essere protetta con appropriate cautele, così come quella dei terzi.
Il garante non può, infatti, invocare, a propria scusa, il principio di affidamento, assumendo che il comportamento del lavoratore era imprevedibile, poiché tale principio non opera nelle situazioni in cui sussiste una posizione di garanzia.
Il garante, dunque, ove abbia negligentemente omesso di attivarsi per impedire l’evento, non può invocare, quale causa di esenzione dalla colpa, l’errore sulla legittima aspettativa in ordine all’assenza di condotte imprudenti, negligenti o imperite da parte dei lavoratori, poiché il rispetto della normativa antinfortunistica mira a salvaguardare l’incolumità del lavoratore e dei terzi anche dai rischi derivanti dalle stesse imprudenze e negligenze del lavoratore o dagli errori di quest’ultimo, purché connessi allo svolgimento dell’attività lavorativa.
Ne deriva che il titolare della posizione di garanzia è tenuto a valutare i rischi e a prevenirli e la sua condotta non è scriminata, in difetto della necessaria diligenza, prudenza e perizia, da eventuali responsabilità dei lavoratori.
L’interruzione del nesso causale è infatti ravvisabile esclusivamente qualora il lavoratore ponga in essere una condotta del tutto esorbitante dalle procedure operative alle quali è addetto ed incompatibile con il sistema di lavorazione ovvero non osservi precise disposizioni antinfortunistiche.
Soltanto in questi casi è configurabile l’esclusività della colpa del lavoratore nella produzione dell’evento, con esonero dalla responsabilità penale del titolare della posizione di garanzia.
Ma, nel caso di specie, la condotta dell’infermiera rientrava appieno nelle sue mansioni e risulta, d’altronde, dalla motivazione della sentenza impugnata, che le dipendenti della Casa di riposo avevano riferito che già in altre occasioni vi era stato lo stesso problema e che si era autorizzato l’uso dell’ascensore con apertura manuale della porta, fornendo anche, all’uopo, due chiavi.
L’infermiera si era dunque avvalsa di tale autorizzazione, ragion per cui l’interruzione del nesso causale, nella sequenza fattuale descritta dal giudice a quo, non può essere ravvisata.
Corte di Cassazione, sez. IV Penale, 29 agosto 2018 n. 39125