Lasciato alle spalle un 2018 in cui hanno perso in media il 5,8%, e fatti i mea culpa del caso, i money manager sono chiamati a superare il pessimismo generale che condiziona i mercati. Ricordando che oggi si può comprare a sconto
di Roberta Castellarin e Paola Valentini
Nel 2018 i fondi comuni europei hanno perso il 5,7%, quelli italiani un valore simile, il 5,8%. Ma dietro al dato medio si nascondono dati molto diversi. Infatti gli azionari Italia sono andati particolarmente male sulla scia delle tensioni dello spread che hanno fatto perdere a Piazza Affari oltre il 15%. E i comparti specializzati sulla borsa di Milano, inclusi i fondi Pir, hanno lasciato sul terreno il 12%. Ma lo stesso è avvenuto per gli azionari Paesi emergenti, che hanno chiuso ugualmente con un saldo del -12%. Naturalmente se si guarda al mondo degli obbligazionari il bilancio è meno nero e la perdita media per i fondi obbligazionari a medio lungo termine è stata del 2,2%, nonostante l’annus horribilis vissuto dai Btp, che hanno un peso importante nel bond fund proposti sul mercato italiano. Per chi ha puntato sugli obbligazionari globali governativi il bilancio è addirittura positivo con un +1,6%. Ma di fronte a questa fotografia non stupisce che un nome noto dell’industria come Paolo Basilico, presidente di Kairos, abbia mandato una lettera agli investitori che rappresenta un’analisi senza sconti sulle scelte fatte nel 2018, anno in cui la salvezza si sarebbe trovata mettendosi in difesa fin dal primo picco di volatilità in febbraio e puntando sui Bund o sul dollaro. Facile, col senno di poi. La mossa di Basilico comunque anticipa i nuovi rendiconti voluti dalla Mifid 2 in arrivo nelle prossime settimane ai clienti, che per la prima volta metteranno a confronto i costi pagati in euro (e non più soltanto in percentuale) rispetto ai rendimenti ottenuti. Basilico d’altronde è in buona compagnia e in molte lettere agli investitori mandate dai guru degli hedge fund di Wall Street presentano toni simili. Che la vita facile dei rentier fosse agli sgoccioli era un’idea condivisa dalla maggioranza degli strategist, vista la progressiva normalizzazione della politica delle banche centrali, che mettendo liquidità a pioggia nel sistema aveva fatto crescere a dismisura il valore e i multipli delle attività finanziarie. Tuttavia nonostante la consapevolezza che si fosse vicini al picco del ciclo, sono stati in pochi a uscire per tempo e così oggi bisogna fare i conti con borse mondiali che in base a un calcolo fatto dagli analisti di Bank of America Merrill Lynch hanno perso dal picco di gennaio 2018 19,9 mila miliardi di capitalizzazione in dollari, quasi l’equivalente del pil degli Usa (20,6 mila miliardi). Di conseguenza anche i multipli sono crollati e ad esempio nel settore del lusso si è passati da un rapporto prezzo/utili medio di 30 volte nel momento del picco del 2018 a un p/e attuale intorno alle 20 volte, un dato in linea con la media storica. In questo contesto secondo gli strategist di Morgan Stanley «il fatto che gli investitori siano pessimisti sul 2019 è un fattore positivo. Crediamo che le loro preoccupazioni abbiano per ora un fondamento, ma ci potrebbe essere un allineamento positivo che potrà far invertire il trend alla fine del primo trimestre».
In altre parole potrebbe succedere l’opposto di quanto si è visto nel 2018, quando il crescente ottimismo sul fatto che fossero compatibili un graduale rialzo dei tassi e un proseguire della crescita senza scossoni è stato smentito dai fatti. Questa volta il pessimismo diffuso potrebbe essere smentito da notizie positive sia dal lato della crescita cinese anche grazie a un accordo tra Usa e Cina sul commercio, sia dal lato della Fed, che nelle ultime settimane ha già dato più segnali da colomba. Un contesto che per Basilico apre molte possibilità: «In questo generalizzato pessimismo», scrive, «confuso e pasticcione nelle sue cause, vedo delle grandi opportunità e sperabilmente non dovremo aspettare troppo per riuscire a trasformarle in rendimenti». Come sintetizza con efficacia lo strategist di casa Kairos, Alessandro Fugnoli: «Il 2018 è stato un anno partito all’insegna dell’euforia e finito all’insegna di un pessimismo cupo e di un nervosismo esasperato per un insieme di fattori geopolitici, economici, monetari e tecnici. Questi fattori hanno provocato la caduta veloce dell’ultimo trimestre». Invece il «2019 si è aperto con maggiore equilibrio anche grazie a una serie di notizie positive, in primo luogo il dialogo serrato tra Usa e Cina, poi la ricucitura dei rapporti tra Italia e Ue, mentre in Uk si lavora a una soluzione che non sia hard Brexit e sul piano economico vedremo una piccola ripresa della crescita europea, intanto per la Cina ci sarà un rimbalzo anche a seguito delle misure espansive adottate nelle ultime settimane, infine sul piano monetario abbiamo visto una Fed più disponibile a capire le ragioni del mercato e il rallentamento del resto del mondo, e quindi quanto meno nel primo semestre del 2019 molto difficilmente vedremo rialzo di tassi negli Usa, sul piano tecnico infine le massicce vendite dell’ultimo trimestre 2018 hanno portato a portafogli molto scarichi e in certi casi addirittura sottopesati e quindi anche da questo punto di vista abbiamo una spinta», prosegue Fugnoli.
Come prendere posizione allora? Si può essere costruttivi, avverte, ma bisogna tenere presente che il ciclo matura «e che quindi ci sarà volatilità, andrà sopportata, con la fiducia che la tenuta complessiva del ciclo economico è fuori discussione per il 2019». Una strada può essere quella di guardare a uno strumento che rispecchia bene l’ondata di ottimismo, seguita da quella di pessimismo, ossia i Piani di risparmio fiscalmente agevolati. Nel contesto difficile vissuto lo scorso anno dall’industria del risparmio gestito i Pir legati ai fondi comuni hanno registrato una raccolta positiva che secondo le stime di Intermonte Securities si potrà avvicinare per il 2018 ai 4 miliardi di euro, trainando il comparto dei fondi aperti dato che in totale questi hanno raccolto 1,6 miliardi negli 11 mesi dell’anno. Merito sia dal lancio di nuovi prodotti, sia dei piani di accumulo che permettono agli investitori di mediare i prezzi di ingresso. Con un avvertenza: per questi piani di investimento il quadro normativo sta cambiando e bisognerà aspettare le nuove norme e mosse degli asset manager per avere un identikit preciso dei nuovi Pir. In base alla legge di bilancio 2019 i Pir costituiti dal 1° gennaio dovranno essere investiti per almeno il 70% del valore complessivo in strumenti finanziari di società Ue e tale quota del 70% dovrà essere investita non soltanto per almeno il 30% in strumenti finanziari di imprese diverse da quelle del Ftse Mib, come previsto dalla normativa precedente, ma anche per un minimo del 5% in strumenti quotati emessi da pmi e un altro 5% in fondi per il venture capital. Si tratta di capire come tale norma sia da porsi in riferimento ai Pir già costituiti. «Per i Pir di nuova istituzione ci sarà un presumibile stallo fino a fine aprile in attesa del decreto attuativo», spiega l’avvocato Roberto Lenzi. «Apprezzabile il tentativo di irrobustire il segmento Aim», dove sono quotate le pmi. «Dubbi sul 5% destinato a fondi venture capital essendo caratterizzati da una notevole illiquidità e poco compatibili con fondi o sicav di natura aperta. Meglio lo strumento Eltif per queste finalità», conclude Lenzi.
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A fare prova di resistenza sono le reti di consulenti finanziari e private banking che stanno limitando i riscatti, ma anche incrementando gli investimenti dei clienti per sfruttare i recenti ribassi. A partire da Banca Mediolanum che a dicembre ha raccolto 908 milioni portando il totale del 2018 a 4,12 miliardi. E i Pir collocati dal gruppo, in un anno in cui il Ftse Mib ha ceduto oltre il 15%, hanno raccolto ben 800 milioni, «a tutto vantaggio dei clienti che hanno continuato a investire a prezzi più convenienti», ha osservato l’ad Massimo Doris (la sua intervista a pagina 10). «questi risultati evidenziano la forza della nostra strategia di investimento e la grande capacità di Banca Mediolanum di far sì che i clienti possano approfittare delle difficili condizioni di mercato». Intanto si segnala che, secondo le comunicazioni alla Borsa italiana, il presidente di Banca Mediolanum , Ennio Doris, ha comprato nei giorni scorsi (tra il 4 e il 7 gennaio) 200 mila azioni della banca a un prezzo medio di 5,2321 e 5,1306 euro. «Crediamo che l’acquisto sia un segno della fiducia nel valore e nella strategia del gruppo», hanno affermato gli analisti di Banca Imi che hanno un giudizio add e un target price a 6,3 euro sul titolo. Che nel 2018 ha perso il 29% per via della frenata della raccolta e dell’andamento incerto dei listini che ha pesato sulle commissioni di tutto il comparto del risparmio gestito. Ma in queste due prime settimane del 2019 sta mettendo a segno un recupero dato che il titolo è in rialzo del 4%, nonostante sia uscita dal 27 dicembre scorso dal Ftse Mib.
Fine d’anno brillante anche per Finecobank . La banca guidata dall’ad e dg Alessandro Foti (intervista a pagina 11) ha registrato a dicembre una raccolta netta di 797 milioni che porta il saldo da inizio anno a 6,22 miliardi. Nel 2018, inoltre, è partita la società irlandese Fineco am, diventata la fabbrica prodotto del gruppo. La scelta di creare una sgr interna è stata fatta per ridurre i costi, perché la nuova normativa Mifid II impone di realizzare rapporti più stretti tra gestori e distributori (articolo a pagina 14). Negli ultimi mesi anche Banca Generali ha fatto shopping. Tra ottobre e dicembre il gruppo guidato dall’ad Gian Maria Mossa ha rilevato due boutique di private banking, una italiana (Nextam) e l’altra svizzera (Valeur). Banca Generali ha realizzato nel 2018 una raccolta netta di 5,02 miliardi, di cui a dicembre 470 milioni, in crescita rispetto ai mesi precedenti nonostante la volatilità dei mercati. E sempre sul fronte di crescita per acquisizioni, Anima ha appena approvato un buy back sul 10% del capitale per disporre di azioni da destinare anche a possibili operazioni straordinarie. La raccolta netta di risparmio gestito (escluse le deleghe assicurative di ramo I) del gruppo Anima in dicembre è ammontata a 75 milioni, per un totale da inizio anno positivo per circa 1,1 miliardi di euro. Il totale delle masse gestite a fine anno è pari a circa 88,5 miliardi, in linea rispetto alla fine del 2017. Per quanto riguarda le gestioni individuali di Ramo I assicurativo, le masse alla fine del 2018 hanno superato gli 84 miliardi. Pertanto le masse gestite complessive del gruppo Anima hanno superato 173 miliardi. (riproduzione riservata)
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