L’ultimo quaderno giuridico pubblicato della commissione di controllo di borsa
Secondo l’autorità, l’adozione dei codici di autodisciplina spingerebbe gli operatori istituzionali ad aumentare le informazioni al mercato sulle politiche di investimento
di Francesco Ninfole
Il peso dei fondi nell’azionariato di imprese e banche italiane quotate è cresciuto in misura significativa negli ultimi anni. Non sempre però è alta la trasparenza sulle loro politiche. È questo uno dei motivi che ha spinto la Consob a pubblicare un quaderno giuridico, scritto da Simone Alvaro, sul tema degli «stewardship codes», ossia i codici di autodisciplina che si stanno dando gli investitori istituzionali in materia di politiche di investimento e di comportamento di voto in assemblea.
In Italia il codice di stewardship è stato introdotto da Assogestioni e ricalca il codice dell’Efama (European Fund and Asset Management Association). Secondo Consob, ci sono aspetti positivi nell’adozione dei codici, che raccomandano ai fondi di monitorare le società oggetto di investimento e di esercitare i diritti di voto (il cosiddetto «engagement»). Uno dei problemi all’origine dell’ultima crisi finanziaria è stato proprio il disinteresse degli azionisti delle società quotate. Ed è una questione aperta anche oggi. Il rapporto osserva che «la diversificazione del portafoglio e la ridotta entità dei pacchetti azionari detenuti in ogni società potrebbe rendere più efficiente l’opzione del disinvestimento rispetto a quella del voto in assemblea, che richiede una costosa attività di acquisizione ed elaborazione di informazioni», con l’ulteriore svantaggio che altri investitori potrebbero avvantaggiarsi dell’attività senza sostenere costi.
Per Consob l’adozione dei codici sarebbe anche un modo per aumentare la trasparenza sulle politiche di investimento, con ricadute positive per gli aderenti ai fondi, per gli altri azionisti e per il management delle società in cui si investe. Secondo i Principi italiani di stewardship, i contatti iniziali con la società possono svolgersi mediante «incontri con il management e le strutture di investor relation». In caso di esiti insoddisfacenti, gli investitori istituzionali possono ricorrere a forme di engagement più incisive, come il rilascio di una dichiarazione pubblica prima o durante l’assemblea; la presentazione di risoluzioni alle assemblee; la richiesta di convocazione di un’assemblea o l’integrazione dell’ordine del giorno di un’assemblea già convocata «per sottoporre agli azionisti eventuali iniziative specifiche quali, ad esempio, quelle volte ad apportare cambiamenti agli organi sociali». Sempre secondo i Principi italiani, anche la presentazione di candidati per l’elezione di componenti di minoranza indipendenti degli organi sociali è considerata «una modalità di esercizio dell’attività di engagement».
Come incentivo all’applicazione dei codici, il quaderno ricorda la possibilità del rating da parte di terzi, come è avvenuto nel Regno Unito senza però troppo successo. Un’altra opzione è quella di addebitare le spese di engagement/stewardship al patrimonio di tutti i fondi. Si vedrà nei prossimi mesi se ci saranno novità normative, tali da condizionare il comportamento dei fondi nelle società italiane, da Tim in giù: già in passato la pubblicazione di un quaderno giuridico (come quello sul voto plurimo) ha preceduto modifiche regolamentari. (riproduzione riservata)
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